RITUAL HOWLS  "Rendered armor"
   (2019 )

Giunti al loro quarto LP, i Ritual Howls confermano ancora una volta il loro particolare sound: una mistura che fa incontrare un synthwave oscuro, con una chitarra metallica e vibrante, tipica da film western. Il risultato è una sonorità post apocalittica, con testi che affondano nel buio e nelle paure. L’album “Rendered Armor”, appena uscito per Felte Records, contiene otto brani dove la voce baritonale indugia negli incubi e nel senso di solitudine, a partire dal primo brano (e singolo) “Alone together”. Il riff di chitarra è caldo e umido, avvolgente come la nebbia, e fa da contraltare al suono secco della drum machine e alle fredde note di synth. “Mother of the dead” è un’evocazione dal tono supplicante, una preghiera concitata: “A keeper of words left unsaid, have you abandoned me? Bring him back to me, Mother of the dead, Mother of the Dead…”. Qui il basso scolpisce un inciso ossessivo e inquietante. I battiti accelerano in “Love cuts”, un vero e proprio industrial rock dai synth taglienti, e si continua a correre nella techno “The offering”, con altre parole inquiete: “An offering of memory, the gift, the window, to clear reality”. E gusto amaro (“the taste is bitter”) in “Devoured decency”, dal basso sintetico pulsante, ed un ponte rumoristico che ricorda tetri meccanismi in movimento. Sopra battiti costanti, e un’armonia statica su un unico accordo, l’incubo prosegue con la minacciosa “I can hear your tears”, dove il cantante sospira sottovoce, come per farsi sentire prossimo all’ascoltatore, dietro alle spalle. Sottovoce sono pronunciate anche parole in “Thought talk”, dove una conversazione pensata assume connotati onirici: “The pictures you see in your mind”. A conclusione del brano, la drum si ferma, per lasciar viaggiare la chitarra da sola in note cariche di delay e drammaticità. Infine arriva una potenziale hit, “All I’ve known”, con la drum rapida, i suoni synth angosciosi come all’inizio di un film horror anni ’80. Ma non scordiamoci la chitarra western, sempre presente. Citando il testo dell’ultimo brano, questa musica evoca nell’ascoltatore i propri “relics of consciousness”, quindi bisogna prepararsi a riconoscerli e riconoscersi. (Gilberto Ongaro)