INCOMODO "Smalto"
(2019 )
La storia degli Incomodo comincia a Lecce nel 2007 (oggi, però, un paio di loro è stanziato a Trento per lavoro), ma solo sei anni dopo stabilizzano l’attuale line-up. Arrivano al debutto nel 2015 con l’album “Un po’ di silenzio”. Dopo aver irrobustito i muscoli esperienziali, tra live e concorsi, maturano la progettualità di nuove canzoni, denotando quell’indubbio salto di maturità che traspare in “Smalto”: 10 brani che inglobano fatturazioni di alt-rock, indie-pop e venature di wave. Tanto per iniziare, “Mangiafuoco” è pop di natura robusta e contornata, oltremodo, da tocchi “pinocchieschi” di tastiera, che fan stuzzicare ricordi Collodi-ani. Segue la globale bellezza del singolo title-track, con tappeti di synth futuristici ed un incipit che attacca come un mastice, sostenuto da un videoclip popolato, sia dalla band, che da una coppia di simil-umani dagli occhi neri orrorifici che impietriscono al primo sguardo, lasciando un criptico alone di mistero. L’allestimento di “Esprimi un desiderio” ed “Il peso della testa” porta l’ascolto su quelle dolci lande alle quali ci aveva abituato Bruce Hornsby: e già questo è uno dei tanti segnali per capire quanto questo lavoro sia stato ben ponderato nei quattro anni passati dall’opera precedente, grazie anche al notevole supporto delle sapienti mani del producer Pietro Foresti, già nel giro di Rhumornero e L.A. Guns. Ma, quel “po’ di silenzio” titolato nel debutto, ho la sensazione che non sia mai stato dimenticato dalla band perché puntano, anche con “Smalto”, a tenere fede alla linea-guida di arrivare ai fruitori della loro musica in maniera diretta, senza eccessi, asciugando tutti i rumori superflui ed infruttuosi. Invece, “Fame d’amore” è colma di personalità miste: irruenta, placida, inconsueta, con un’aria arrogantemente rispettosa, e tutto fa presagire che, nel menù del trio salent(rent)ino, la varietà stilistica è una specialità della casa, e l’“Humus” che fomentano qui fa germogliare, spesso, fioriture insolite, con la performance canora di Federico Calò che modula ad ampio raggio: nostalgica e malinconica, talvolta pigra e risoluta, oppure accorata come nel cullante pop di “Dispnoica” che, nelle spinte d’ugola e nel falsetto, ci sono evidenti richiami Tozzi-ani (tutt’altro che un disonore!). L’altro singolo, “Non essere cattivo”, sfila ruggente, corredato da galanti melodie che spaziano in maestose aperture, mentre “Rubicondo” rispecchia il colore con cui gli Incomodo han colorato e chiuso l’intero album, cosi florido di buone idee e raffigurativo di un ritratto in piena salute ispirativa. (Max Casali)