[LESSNESS]  "Never was but grey"
   (2019 )

Ci hanno sempre detto che “Tutto è gia scritto”, come se fosse inutile tentare di cambiare le sorti del proprio destino, in una sorta di rassegnazione personale. Ma la pronta smentita arriva attraverso l’album “Never was but grey” (edito in formato metal-box e cassetta!), fascinoso progetto del compositore-produttore Luigi Segnana, già militante in varie bands tra cui Casa del Mirto, in veste di bassista e producer. Ora, l’avventura extraconiugale solista, con l’identità [Lessness], lo spinge a pubblicare una lista di 10 brani ricchi di tratte oscure e bagliori improvvisi, di tramonti ricorrenti ed albe pronte a tornare a far capolino su nuove verginità emotive. L’apertura ombrosa di “Wait” raffigura quella “attesa” che pervade l’animo umano nel rifiorire dopo essere appassito al cospetto delle angosce e frustrazioni, e quando il brano incalza è l’ora di rialzarsi dall’inerzia e filare “via” verso lidi restauranti del vivere: ed infatti “Away” è l’ideale suggerimento per galoppare con più ritmo in una vita pronta a sfuggire via senza dare soste salvifiche, se non siamo noi ad imporcele. Ma, una domanda che incombe su tutti noi è “Vorresti che…?”: un giusto interrogarsi sulle proprie aspettative ed il desiderio di realizzarle, con margini di ottenimento che dipendono tutti dal proponimento del singolo, e “Would you…?” non è un quesito banale ma un atto analitico da non tralasciare mai, se si ambisce a risposte di un certo spessore. Invece, il clima di “V” porta a declamazioni sospensive con stesure di synth, parenti dei Planet Funk, cosi come “Seven Seals”, in cui la vocalità di Luigi riproduce l’identikit di Dan Black. Speciale menzione merita l’aurea ambient che pervade “How should we love this fever?”, assumendo toni dark ed eterei che fan fluttuare il pensiero in smarrimenti ciclici, con quell’ombrosità tipica di chi non sa (o non vuole) intravedere soluzioni immediate. La serrata elettronica di “24/7” è indice di violenta elucubrazione, di destabilizzazione umorale, di schizzata frustrazione, ed il Nostro sa bene come ricreare il mood con adeguata simbiosi sonora. Ancora dosaggi di ossessiva electro-wave anni ’80 in “Deconstruction”, a cavallo tra Joy Division e Cure, per un ascolto per nulla indifferente. Ebbene, per quanto possa sembrare altamente estraniante, “2:21” è l’orario notturno che sa di positività mantrica, in cui l’intreccio di piano e basso accompagna un desertifico loop narrativo, come se fosse estrapolato dalla letteratura del drammaturgo Thomas Stearns Eliot. I titoli di coda sfilano con l’impalcatura dolente di “Oh, me”, tanto insofferente quanto scarna e prosciugata di ogni ombra d’orpello. “Never was but grey” ci ha trasmesso quel grigiore necessario per capire che è il colore emblematico di un’alba d’imminente manifestazione, inseguita ed agognata, nell’eterna lotta dell’odissea personale, in cui sfugge l’analogismo tra smarrimento e grandezza, con l’unica differenza che i piccoli dettagli disturbanti vanno stanati con dedizione introspettiva e percezione coscienziosa del mondo esterno. Lasciatevi ammaliare dal misterioso percorso di [Lessness]: non una “Mancanza” di bel tempo, ma un concreto sole che lotta per divincolarsi e liberarsi, come noi, dall’opacità della nebbia esistenziale. (Max Casali)