INTERPRETI VARI "Cyclotron #3"
(2019 )
Per celebrare il ventesimo anniversario dell'etichetta Partycul System, è uscito “Cyclotron #3”, compilation di 17 brani degli artisti della label. Si tratta di oltre un’ora di musica psichedelica sui generis, che bazzica nel post rock e nello sperimentale. Si leggono nomi provenienti principalmente dalla Francia, ma anche dalla Germania, dal Regno Unito, dal Belgio e dagli Stati Uniti. Per apprezzare questa raccolta bisogna essere abituati a vivere dentro le coordinate stilistiche della Partycul: chitarre elettriche dilatate e cariche di delay, batterie soft, consistenze sospese ed impalpabili, allungamenti di struttura tipo quelli della Constellation, voci spesso assenti o in secondo piano, compresse o sospirate, eccetera. Questi elementi si ritrovano nei brani di The Beatnik Stellar Blues, 4tReCk, Julien Doigny, Navel, Xela Zaid. Invece i Feu Robertson, nel sound del loro brano “Summer cold wind”, aggiungono alla chitarra pulita il banjo, regalando un pezzo da fine agosto, nostalgico. Con Oui Mas Non, un cupo inciso di chitarra viene doppiato dal vibrafono. Si tratta di una compilation davvero variegata, e per quanto riguarda la psichedelìa in senso stretto, ci sono gli Immaterial Possession, con un ritmo ipnotico e misterioso per “Tropical still life”, e i Supersoft (14-18), dagli echi floydiani. La chitarra acustica in primo piano, con effetti lisergici, la troviamo invece con Trikorder 23. Ma anche il pianoforte vuole la sua parte protagonista, fra queste chitarre, e la trova in “Tristan da Cunha” dei We are Ocean’s Gay Flowers. Curiosa la personalità dei Vitaphone in “Cubes”, dove la voce segue un’interpretazione sgangherata tipo quelle di David Byrne: “Cubic boy, where do you come from!?”. Oltre alle band, c’è anche un momento di chitarra solista classica, con Simon Manoha, che la suona con un moderato pathos. Sul versante elettronico e sperimentale troviamo Michel Bertier, che in “La Que Sabe” fa comparire più incisioni vocali in determinati punti, fra pungenti tintinnii, porte che cigolano e gocce d’acqua iperrealistiche. Chevo Légé invece, dopo dei rumori ambientali iniziali, nella sua “Une Certaine Plume” ci abbandona con una voce femminile da sola, che allunga certe note, e poi arriva l’elettronica e soffi digitali. Un cambio repentino ci presenta archi sintetici che fan tornare la voce, cambiata completamente di contesto. Oppure i pattern inquietanti di Lena Circus, corde dissonanti (probabilmente di archi) dilatate nel suono e nella durata. Inaspettato in chiusura, il pianoforte jazz del brano “Monk’s Collar” di Ryan Choi, che a metà traccia sembra fermarsi per imbracciare la chitarra, e continuare ad improvvisare lì. Uno strano disco collettivo, questa compilation, che fa capire quanta cura impiega la Partycul System, nel ricercare artisti mai troppo scontati, ma uniti da una coerente voglia di inventare e reinventare. (Gilberto Ongaro)