JOHNNY CASINI  "Port Louis"
   (2019 )

Un classico blues rock britannico, è la cifra stilistica di Johnny Casini, che fa un esordio di lusso, uscendo con l’EP “Port Louis” prodotto nientemeno che da Phil Manzanera, chitarrista, produttore e collaboratore di artisti di spicco, tra i quali Pink Floyd, Brian Eno, David Byrne, Robert Wyatt e tanti altri. Le 6 canzoni dell’EP portano quel sound tipico londinese, facilmente riconoscibile. Un tempo swingato per “DJ & Honey girl”, dove le parole ci ambientano in un bar. Tempo dritto e atmosfera da Dire Straits per “Dark sunglasses”, racconto dove Johnny presenta gli stilemi della rockstar, con tanto di macchina sfrecciante e “cigarette in the corner of my mouth”. L’apparenza sfavillante nasconde una depressione, dietro i grandi occhiali da sole, rivelata anche nel videoclip, alternato tra un villino lussuoso e un concerto, dove lo schianto di donna che accompagna la star è stanca d’essere ignorata come un soprammobile, e se ne va. Il tono si fa più deciso in “I’m not blind for you”, con tanto d’assolo, sempre melodico e non virtuosistico. Ma “My little house” è un dolce lento con chitarra acustica d’accompagnamento, e la voce che nel ritornello viene effettata col tremolo, diventando “liquida”. Il tamburello suonato dalla batteria e l’hammond ci rimandano a quel pop sixties. “Night on the balcony” ci porta su un grande balcone, dove rilassarsi senza pensieri: “I am outside with two glasses of wine I threw away my mobile phone, I want to stay alone (…) Give me something to smoke, give me a funky cigarette, we can touch the sky, now we can die”. La chitarra gioca su quel funky (che cela un fucking), portando nel brano la ritmica sincopata, assieme al groove di basso. Infine “This is the place” ha un’introduzione senza ritmo, con clima introspettivo. Quando parte la batteria, confermiamo ancora le coordinate inglesi, con la tipica marcetta swingata, che periodicamente viene riproposta. E che col passare dei decenni, è sempre bella da risentire, da “Penny Lane” dei Beatles fino a “The importance of being Idle” degli Oasis. Johnny Casini non porta probabilmente nulla di nuovo, e ancora poco di personale, ma come collocazione iniziale non c’è male: un suono sempreverde, proveniente dalle piogge di Londra, che non tramonta mai. (Gilberto Ongaro)