DANIELE DI MAGLIE  "La mia parte peggiore"
   (2018 )

Per dar vita a simili progetti serve una sensibilità non comune, come quella di Daniele Di Maglie, artista capace di raggruppare nel terzo album “La mia parte peggiore” storie, amarcord, vissuti, aneddotiche d’anima, col preciso obiettivo di non strafare ma gettare nella mischia 11 atti cantautorali, dal forte sapore ponderativo, che non diano modo alla rassegnazione di prendere il sopravvento, e con l’intento d’innestare slanci di fierezza ed autonomia ad ogni costo. L’artista si presenta con “Chiedimi perdono”, che viaggia sul trillato di mandolino, iniettando aspetti folk qualitativi. L’assetto piano-archi di “I violini di Chagall” crea un mood delicato che valorizza lo slow-vocal di Daniele incastonato con finezza ma, quando tratta di venti bellici , ecco che in “Indiani e generali”, “Aprite il fuoco” e “Il ragazzo di Sirte” si scorgono indizi di Fossati-style, in aria malinconica e passionale, con narrazione dolente che calza con pertinenza. Invece, la ballad dialettale “Rosabella” ci inala veracità popolare, espressa con sprizzo accorato e con una minimalità d’insieme centrata e convincente. Passando al cicaleggio affogato in un blues scheletrico per sola chitarra acustica, “Quando torno a casa” dona pienezza emozionale, anche quando tutto è ridotto a minimassimi termini. Con un’intenso background, diviso tra le multi-attività di educatore, scrittore, oltre che musicista e laureato in scienze politiche, il dottor Di Maglie sommessamente narra, racconta con discrezione, ma si accalora quando serve una frustata d’orgoglio esistenziale per rimarcare una pulsione declamatoria, un battito d’ali teso non a scatenare una guerra dall’altra parte del globo, ma principalmente finalizzato a sostenere la fragilità del viaggio terreno. Abile nel ricreare persino contesti fiabeschi, Di Maglie con “Ho sentito” svolazza con leggiadria lasciando, nel mezzo…Orme di “Giochi di bimba”. La mestizia tocca il suo pregevole vertice con “Ti renderò felice”, canalizzata dentro sonorità spiritiche, quasi a raffigurare l’ambivalenza del brivido di coppia: timore-gioia. Al traguardo, c’è il malinconico congedo della title-track che sintonizza il songwriting del Nostro sulle onde di Baglioni e De Gregori, confermando un’ispirazione empatica e rispettosa. Ricominciando da tre, Daniele ha forgiato un disco dall’aspetto garbato, misurato, paesaggistico, delicatamente descrittivo, soffiato con ampia espirazione cantautorale e, se saprà staccarsi un po’ dalla matrice Fossiatiana, troverà quella completa identità stilistica che servirà per laurearsi a pieni voti. (Max Casali)