PORTUGNOL CONNECTION  "La confessione"
   (2018 )

C’era una volta la patchanka, ma erano altri tempi, la fine degli anni ’80 e dintorni, con qualche propaggine nel decennio successivo, in calando; e c’era una volta la Mano Negra, nutrito combo apolide che la patchanka la inventò e la brevettò, un collettivo fluttuante creato dal genio di Manu Chao composto da sbandati e gitani, picari caciaroni che seppero ritagliarsi una fetta di fama e un bel posto tra i ricordi più colorati e festanti di una certa generazione che fu.
I Portugnol Connection sono in sette, vengono dall’hinterland meneghino e si presentano proprio come interpreti di quella patchanka d’antan che rileggono con piglio baldanzoso e non senza personalità ne “La Confessione”, nuovo album a sei anni dall’ep di debutto ed a quattro dall’esordio lungo di “Dans La Rue”. Certo, non sempre basta mescolare italiano, francese e spagnolo per ricreare quella stessa magia, persa nel tempo come lacrime nella pioggia. E la patchanka è forse oggigiorno anacronistica, ma qualche buon numero i ragazzi lo pizzicano eccome, in testa certamente l’opener “Il Capitano”, a seguire la cadenza bandistica in minore di “Sangue e Cemento”, numero di brio quasi circense impreziosito da fiati incalzanti. Ma colpiscono anche la bossa noir di “Ligera”, l’intensità tesa ed amara della title-track o la mesta chiusura di “Buona sorte”, tra il Mediterraneo e l’oriente.
Quella patchanka era pura energia, era un frenetico meticciato, un crogiuolo di cattive intenzioni e sonorità stradaiole, una baraonda che abilmente catturava tutta la torrenziale irruenza di un momento-nel-tempo, mentre “La Confessione” sa forse più di omaggio temerario, coraggioso tentativo di riproporre l’irripetibile. Disco onesto e sincero, musicalmente festoso, ma cupo e pessimista nei contenuti quanto basta a creare un contrasto stridente che solo in apparenza diverte ed intrattiene. Curiosa idea, a tratti apprezzabile. (Manuel Maverna)