JANA IRMERT "Flood"
(2018 )
Nel 1979 Peter Gabriel ci cantò: "Here comes the flood". E nel 2018 eccola l'inondazione, quella di Jana Irmert. Da Berlino, l'artista multimediale ci propone "Flood" (appena uscito per Fabrique Records), la cristallizzazione di tre tracce, di cui la prima e la terza durano oltre venti minuti, mentre la centrale "appena" sette. Le sue composizioni elettroacustiche accompagnano sempre dal vivo una componente visual di uno spettacolo completo, dove lasciarsi immergere. In questo caso si può parlare di immersione in senso letterale, non quella criptica di Pappalardo, ma una più allegorica, dato che ciò che ascoltiamo è ispirato dall'ultimo libro di Čyngyz Ajtmatov "Il marchio di Cassandra". In breve, lo scrittore del Kirghizistan (al netto di possibili fraintendimenti dal riassunto inglese che sto consultando) in questo romanzo distopico tratterebbe di un monaco russo cosmico, che scopre che i feti nell'utero delle donne possono comunicare alle future madri se non vogliono nascere, facendo comparire un segno sulla loro fronte... mi fermo qui nella trama perché ho paura di sapere come continua! Si può intuire, con una suggestione del genere, essendo Jana Irmert un'artista prettamente atmosferica, quanti suoni dilatati siano presenti in questo lavoro. Liquidi ed ariosi, come nuvole e rumori di vento, osservati ed ascoltati stando sott'acqua. Le tre parti hanno dei titoli indicativi: "Standing on breaking ice", "Silence on a string" e "The sound of the universe spinning". Come in ogni progetto ambient, ogni interpretazione è puramente personale, ma di sicuro, facendosi prendere da questa musica concreta, ci si può ritrovare, specchiati in un lago, con il volto deformato dalle onde in movimento. E collegare l'infinitamente piccolo, l'embrione, con le supernove esplose nello spazio interstellare. Placenta, madre, Terra, cosmo. Tutto ciò che avvolge e abbraccia può diventare, a gusto personale, tesi, antitesi e sintesi di "Flood". Solitamente la critica che si può fare a questi lavori, e che ripeto talvolta anch'io, è che siano così indissolubilmente legati alla parte visuale live pensata dall'autore, che ascoltandone solo l'audio non si possa trarre alcunché, come nelle situazioni di musiche per mostre d'arte. Ma non è questo il caso, in quanto Jana sa tessere una fitta coperta di flanella che basta da sola, senza ausilio ottico, a riscaldare le proprie fantasie introspettive. (Gilberto Ongaro)