MATTEO PERIFANO  "Uomo europeo"
   (2018 )

Musica classica o pop? Matteo Perìfano, nel suo album "Uomo europeo" unisce entrambe le istanze, componendo arie per voce, pianoforte e quartetto d'archi. Stilisticamente troviamo elementi da lied ottocentesca, e del barocco settecentesco di Vivaldi, anche se le strutture dei brani non sono barocche, seguono lo schema della canzone pop. Echi di Branduardi e Battiato sono innegabili, però emerge anche una personalità propria, legata a Wagner e in genere al romanticismo tedesco, riassunto nel quadro di Friedrich "Viandante sul mare di nebbia", che a rivederlo oggi assume un'involontaria connotazione ironica. Anche la raffinatezza linguistica non pesa, il tutto suona leggero ("La tua sete indomita non sai come placar, stappa uno champagne"). Il primo brano, "Demoni", fa pensare ad un'altra tela, "Incubo" di Füssli. Nell'arrangiamento, oltre agli archi e al pianoforte, vista la presenza demoniaca si è ben pensato di inserire lo xilofono. I demoni di cui canta Perìfano sono ancora contemporanei: "Dentro il tuo corpo versi fluidi etilici che lo danneggiano", e con una melodia allegra invita a svegliarsi per combatterli, anzi "stradistruggerli". C'è anche la tentazione di fuggire in Africa, ma "i demoni attraversano ogni terra ed ogni mar". La fuga compare anche in "Viaggio d'inverno", la voglia di scappare da quest'osservazione della neve che si scioglie sotto la pioggia: "Ma dove va, la neve che si scioglie dove va?", verso cambiato a fine pezzo in "E dove va la vita che finisce dove va?". Ma come ogni romantico che si rispetti, il vagabondare "ramingo per l'Europa" non è mai soddisfacente, non si trova la propria Heimat: "Mi tocca ancora camminar, e non c'è meta che mi sazierà". E se cerca un "giaciglio caldo dove scappare", Matteo invece ci porta al freddo con "Russkij ballad", una breve ballata goliardica, dedicata alla Russia zarista, citando Anna Karenina e le "kartoffeln di Prussia". L'eccitazione è tale da doversi trattenere: "Giuro di non eiaculare fino all'alba". Il testo di "Zum arabischen Coffee Baum" si presenta come un flusso di coscienza, che parte dagli alberi colorati in Norvegia paragonati ai ciliegi del Giappone, rosa come i fiori di pesco "di quella canzone italiana". Dagli alberi passa a descrivere i colori dei sentimenti, come l'ansia grigia, ma poi finiamo nell'attualità entrando "al centro commerciale", anche se per comprare "un abito talare". I riferimenti sono da cercare in "Winterreise" di Schubert. La voce di Matteo è spesso scherzosa, soprattutto qui ("Ma fai davvero? Giochi o sei serio?") e la musica ospita anche delle campane tubolari. "Mercato musicale" dal barocco si sposta verso lo stile galante della musica classica in senso stretto, col pianoforte mozartiano allegro con brio. E il testo, passando da Bach al "pianista ungherese di frenetica beltà" (con tutta probabilità Liszt), è una divertente presa in giro del music business. Come fece Cristicchi in "Ombrelloni", Perìfano afferma d'esser stanco di stare ai margini, e stavolta vuole entrare nel mercato musicale "con un pezzo un po' banale pieno di stronzate" e finire da Conti e da Fazio. Sappiamo che la presenza nel programma di Fabio Fazio ha assunto da più di dieci anni la funzione di legittimazione nel mondo intellettuale: Matteo resta ambiguo e beffardo in questa derisione. Il triangolo addolcisce l'introduzione di "I Biedermeier", pezzo musicalmente tra i più frivoli, dove Perìfano indossa la satira di Eichrodt e Kussmaul, che prendevano in giro i borghesi conformisti di pieno Ottocento, chiamandoli tutti per l'appunto "Biedermeier". "Ci vorrebbe un filtro di Brengania per tutti noi, per far di nuovo sospirare il cuore spentosi anni fa a causa di questa società marziale". Si potrebbe fare una sottile analogia con l'uomo medio occidentale contemporaneo. Cambiano i materiali dei mobili (Ikea), ma siamo ancora conformisti. Tornando alla figura del wanderer intento a osservare la natura, Perìfano si rivolge direttamente ad una "Foglia" nell'omonimo pezzo. Essa "freme dalla voglia di lasciar la chioma spoglia", e mentre lui aspetta il mondo che verrà, la invita a cadere: "Ma tu perché aspetti? Vai giù, foglia!". Ancora un'evocazione di riti germanici con "La notte di Valpurga", che è la notte fra il 30 aprile e il 1 maggio, celebrazione della primavera in una chiave magica, tra stormi di "corvi erranti", Zarathustra che esulta "tra le baccanti folli di piacere" e Cabiria che danza. Qui emerge l'esaltazione romantica di sé: "Ficcatevelo in testa, il mio è un viaggio d'altitudine, ora tornate in gabbia voi, assurda moltitudine". Invece il "Canto di Natale" invoca un ritorno alla vita vissuta con semplicità, come i pastori e i pescatori: "Dimenticare la fretta, errore di logica". In contrasto con le abitudini dei nostri tempi, tradotti in terzine di semitoni in caduta degli archi, arrivano le parole: "Che razza di giorni sono questi qua?". Come si fosse catapultato qui dal 1820 (con tanti anacronismi), il nostro viandante osserva il 2018 mantenendo la visione sognante di un'Europa ancora densa d'entusiasmo, contro i conformisti che pensano solo ad "accumulare nelle banche il capitale". (Gilberto Ongaro)