GOH LEE KWANG & CHRISTIAN MEAAS SVENDSEN  "Gibberish, Balderdash & Drivel"
   (2018 )

Ci sono un norvegese e un malese in una galleria d'arte, che annoiati decidono di disturbare i visitatori suonando. Ok, è una barzelletta senza finale, ma è successo davvero. Il contrabbassista Christian Meaas Svendsen, già collaboratore di Paul Nillsen-Love, prende un aereo e si dirige nei dintorni di Kuala Lumpur, dove assieme al prolifico Goh Lee Kwang (271 lavori pubblicati su Bandcamp), incidono all'interno di una galleria d'arte indipendente tre improvvisazioni con un registratore portatile. E sono reali improvvisazioni, senza alcuna prova precedente né un canovaccio di tema sul quale inventare variazioni. I due non cercano neppure di instaurare un dialogo musicale: giocano assieme coi propri strumenti, contrabbasso e chitarra classica. Si suonano addosso, l'idea che ne risulta è quella di una cascata aleatoria di note, quando si presta attenzione. Sì perché, come accade in questi esperimenti ormai neppure più considerabili estremi, i due musicisti eseguono simultaneamente due monologhi senza ascoltare l'altro, e anche l'ascoltatore si distrae facilmente. Nelle tre tracce registrate, "Gibberish", "Balderdash" e "Drivel", che danno anche il nome alla raccolta (appena uscita per Nakama Records), non c'è traccia di un tentativo di botta e risposta, il flusso è continuo. In senso lato, è un lavoro ambient, poiché è un audio che riporta fedelmente la situazione di quel momento e di quel posto, senza alcuna modifica di post produzione. A metà della seconda traccia si sente pure un telefono squillare, al quale nessuno risponderà per un bel po', ma il nostro duo non si deconcentra. Noi dopo un po' sì, poiché da parte loro non c'è alcun intento comunicativo nei confronti di un ipotetico pubblico. L'esibizione è convessa anziché concava, siamo noi, se realmente interessati, a dover prestare attenzione. L'unica definizione avvicinabile è quella del titolo della prima traccia, "Gibberish", che in italiano si traduce con "grammelot", cioè quella pratica di teatro di emettere suoni senza un senso grammaticale. Nonostante l'assenza di significato, il grammelot risulta comunque espressivo, per il tono scelto dall'attore, l'interpretazione nel pronunciare i fonemi casuali. L'operazione in musica risulta molto più ostica, poiché bisogna avere un bagaglio di suoni ai quali attribuire un significato condiviso da tutti. E dato che i bagagli di un norvegese con quello di un malese sono del tutto diversi, è come ascoltare due lingue straniere in simultanea. Solo per chi ha voglia. Come cantava Battisti tramite Panella: "Questo composto di onesta futilità". (Gilberto Ongaro)