PANTHER & C.  "Il giusto equilibrio"
   (2018 )

Continuano a sognare i Panther & C, giunti al loro secondo album "Il giusto equilibrio", che prosegue l'indirizzo sonoro del lavoro precedente "L'epoca di un altro", con predominanza delle tastiere di Alessandro La Corte negli arrangiamenti e un tono alquanto avvincente nel modo di cantare. Un po' difficili da afferrare le parole al primo ascolto, per la presenza di diverse frasi subordinate, ma i testi contengono molte suggestioni, spesso attinenti al volo e all'osservazione dall'esterno delle cose. La musica strumentale comunque è protagonista indiscussa; l'interpretazione canora di Mauro Serpe, anche se intensa, è uno dei tanti elementi. Il brano d'apertura "...E continua ad Essere..." ci introduce al racconto dello sguardo esistenziale, con inserti di flauto traverso dello stesso Mauro, alternati a momenti solisti della chitarra di Riccardo Mazzarini. "E' proprio vero, quanti occhi vi stanno guardando, sembra un film che sta trasmettendo un passaggio epocale per il giusto equilibrio tra di voi". Da questa misteriosa affermazione ci inoltriamo nel "Giusto equilibrio" evocato, parlando di natura, della realtà selvaggia degli animali, del falco che segue il suo istinto predatore. Questo sguardo arriva da un non ben precisato "quassù", dapprima si staglia da un albero, ma poi si trova "sull'erba quassù", dove chi osserva "cerca di cancellare i ricordi che annientano il cuore". Oltre a guardare la fauna si muove anche in altre direzioni: "Guardo una nube, si inchina ad un raggio di sole che muore sul letto di neve. Acqua che sgorgherà per sempre, addio lassù, mi unirò al mare"... La musica, tra varie digressioni strumentali, quando accompagna la voce si fa eterea, accentuando l'enigma di chi stia guardando cielo e terra con questi inquieti pensieri. Il terzo capitolo "Oric" è ancora più onirico, contempla la transizione da una vita all'altra: "Lascio gli argini di un fiume che scorre verso l'orizzonte, in volo verso il cielo per andare incontro a chi, vestito di seta, coronando il mio sogno...". Il protagonista nota "una stella svanire lentamente", per poi finire in un "vortice eterno di solo Amore". La musica è rarefatta, basata su arpeggi di chitarra pulita. Alla comparsa della parola "Amore" compaiono pure i cori di tastiera, accrescendo il senso di stupore. "Fuga dal lago"è un brano interamente strumentale, che approfondisce il lato sognante della band, tra suoni di tastiera vintage che non hanno minimamente perso il loro fascino, chitarra solista e stacchi poderosi di Folco Fedele, nuovo batterista della band. Chiude l'album la traccia rivelatrice "L'occhio del gabbiano". "Volo sicuro perché le mie ali non hanno motori (...) ali d'acciaio, un forte boato, una nube di fumo, tutto è crollato, la gente che fugge, la gente che grida aiuto (...) non riesco a capire come può un volo portare la morte, creare dolore. Vi guardo dall'alto e mi chiedo se questa è la vita...". Il gabbiano sta volando di fronte alle Torri Gemelle l'11 settembre 2001. L'arrangiamento ancora una volta è efficace, con un raccordo tra la parte cantata e quella strumentale realizzato con un arpeggio di pianoforte decorato da un suono cristallino in layer (cioè sommato nella tastiera, in modo che premendo un tasto escano due suoni simultanei). Al ritorno della voce spicca il basso di Giorgio Boleto, che arricchisce la sezione ritmica. Dopo 13 minuti il brano ci saluta con un accordo minore dei cori di tastiera. Forse lo sguardo del gabbiano era quello che accompagnava anche i brani precedenti? Un album con un messaggio all'umanità in stile progressive, è proprio quel che ci vuole per iniziare questo 2018! (Gilberto Ongaro)