ISLAJA  "Tarrantulla"
   (2017 )

Chi scrive su Islaja, spesso la accosta a Bjӧrk, evidenziandone le caratteristiche in comune. Allora qui si vedranno le differenze, perché ce ne sono parecchie. Islaja elabora spesso la voce elettronicamente, e quando canta naturale non emette costantemente gemiti di orgasmo; inoltre nella sua ricerca musicale, seppur eclettica, l'elemento synth è molto più centrale rispetto all'artista islandese, che tende invece a creare maggiori ambienti distesi utilizzando gli strumenti analogici in percentuale più alta. Inoltre con Islaja c'è una costante psichedelica, che emerge nei momenti più lenti. Nell'album "Tarrantulla" (appena uscito per Svart Records) ascoltiamo le diverse sfaccettature della musicista finlandese. L'avevamo incontrata nel collettivo Monika Werkstatt, dove in "Sappho's Gifts" campionava sospiri in maniera inquietante, e anche qui la sua voce è protagonista. Spesso sdoppiata in cori processati, incontra in "Ghost from the future" la viola, e canta a questi fantasmi del futuro la volontà di farsi catturare: "Take me with you (...) catch our hands and shoulders". Se ora siamo trasportati così in un tempo ignoto, non è così per lo spazio: restiamo nel cuore della Finlandia con "Emosein", dove Islaja, con tripla voce, canta frammenti dal poema epico ottocentesco "Kalevala" di Elias Lӧnnrot, che racchiude la mitopoiesi della Terra di Kaleva, cioè della Finlandia. Un'opera cara ai finlandesi, come per noi la Divina Commedia. "Sadetta" è un'elaborazione elettronica di una melodia folk e di un'improvvisazione di flauto, accompagnate da un bordone armonico che però non è aritmico, fa sentire i battiti creando una sorta di suspense. Nell'arrangiamento ad un certo punto si aggiungono gli archi pizzicati, noti ai più per la loro presenza tipica nelle canzoni di Enya. Se finora siamo nella più squisita sperimentazione, i tre successivi pezzi sono un po' più orecchiabili, pur senza perdere in originalità. "Tactile material" è un divertente synth pop con incisi di sassofono dove Islaja canta con voce naturale, con un po' di riverbero breve (slapback). "Peace pilot" è un electro dance con carillon stonati e un'atmosfera che David Lynch apprezzerebbe come colonna sonora per le sue visioni. "Earty side" infine è elettronica spedita, dove la voce gioca su registri diversi, dal sospirato al falsetto, e dove il sassofono dialoga ancora con la sintesi. Ed ora ci inoltriamo nella terza e ultima zona dell'album, che si collega all'inizio. "Robot arm" è costituita da rumori bassi e minacciosi, ai quali Islaja ci introduce parlando sottovoce, parlando di scheletri che camminano. Poi canta: "I want to try to change our life". Il secondo e quarto battito vengono riempiti da uno snare distortissimo, e compaiono delle mostruose voci pitchate verso il basso, forse il verso dei robot che prendono sempre più coscienza di loro stessi. Verso la conclusione i rintocchi di una campana (che subiscono anch'essi un'oscillazione surreale) ci lasciano una sensazione funerea. Gli ultimi due brani sono cantati in finlandese, "Savel mun suussa" e "Sun luona taas". Entrambi ospitano la sola voce e le armonie e disarmonie di suoni elettronici privi di supporto ritmico; si vaga in un mare digitale, con tanto di gabbiani in lontananza nel primo dei due pezzi. Nel secondo, il cosiddetto "tappeto" è costituito da un suono vintage à la Vangelis. Sesto lavoro di Islaja, non deluderà le aspettative di chi ama l'elettronica sperimentale. (Gilberto Ongaro)