PIERPAOLO SCURO "Tu che guardi"
(2017 )
Pierpaolo Scuro è un cantautore eclettico, che sa destreggiarsi senza impaccio dal punk rock al brano acustico introspettivo; la varietà musicale è specchio di tante sfaccettature della sua scrittura, fatta di invettive aggressive, sentimento di paternità, dubbi esistenziali e spiritosaggine. Il tutto condito però da una malinconia di fondo, scura come il suo cognome. "Le parole sai, fanno male come una violenta punizione", ammonisce Pierpaolo nel pezzo di apertura "Nella passione non si vede", canzone con strofa jovanottesca, con tanto di giro di basso à la Saturnino, che sfocia in un imprevisto ritornello hardcore; altro brano maggiormente bellicoso è "Io non posso fare niente", uno scatenato rock in cui Scuro dichiara la sua volontà di fare il musicista e basta: "Io non voglio fare niente che non sia cantare / suonare / registrare", e se potesse permetterselo, ''piscerebbe sui vostri cancelli'', come afferma lui stesso. Buona fortuna allora! Al contempo però esce anche l'animo più fine del cantautore, in brani pop come "Non cercarmi mai", o negli arpeggi dolci di "Torna e scompare", dove Pierpaolo canta: "Vorrei sentirmi leggero, per una volta davvero...". "Bambino", canzone per pianoforte e voce, è la più protettiva dell'album, dove il padre cerca di essere schietto col figlio circa le cose del mondo, ma vuole anche rassicurarlo che lui ci sarà ad aiutarlo. Emerge qui il senso del dramma: "Se ti nascondi, ti verrò a cercare, se non ti trovo urlerò il tuo nome". La scaletta dell'album forse poteva essere ordinata diversamente: essendo "Bambino" subito dopo "Io non posso fare niente", appena scottati dalla veemenza dimostrata, non si riesce a prendere sul serio la tenerezza cantata nel brano successivo; ma basta sentirla per prima. Altro brano introspettivo è "Deserto", sostenuto da una leggera base elettronica, dove si parla di ostilità alle religioni rivelate ed alle verità in tasca: "Non esiste religione, oppure una morale a cui affidarsi ciecamente sperando in un premio finale". "Occhi" e "Una notte ancora" condensano tutti gli elementi: impulsi elettronici, testo su un rapporto di coppia raffreddato, e ritorno della chitarra distorta. "Tempo" è un altro pezzo delicato, in cui la voce languida esprime desideri impossibili che celano un pentimento: "Vorrei essere il tempo che hai perso per me". "Troppo", brano di chiusura, è cantato con una velocità logorroica vagamente gucciniana, ed è una confessione sincera del cantautore: "In questa testa di cazzo che mi porto appresso, che non dimentica nulla, anzi ritorna sul delitto, ma non è che mica posso pensare a tutto". E tra una sedia che vuol dire attesa e un colpo di pistola, il testo precipita su un: "E quanto ti vorrei scopare". Il brano finisce in maniera prog con dei giochi ritmici e un hammond. C'è una linea sottilissima tra il cantare in maniera sincera di sé, per mettersi a nudo senza maschere (e per vedere se anche l'ascoltatore ci si ritrova e prova empatia), e l'egocentrismo narcisista che invece lo allontana. Intendiamoci, non siamo fortunatamente ai livelli insopportabili di Maria Antonietta, ma Pierpaolo in certe righe rischia di perdere l'equilibrio. Resta invece apprezzabile la duttilità musicale, necessaria e consigliata oggi per continuare a portare avanti un progetto da cantautore; anche se tra le sfaccettature, quella dirompente di chi vuole "essere una ragione per formulare le domande, e chi se ne frega delle risposte" risulta la più accattivante. (Gilberto Ongaro)