ALL BROKEN 29  "Fix"
   (2017 )

Il pink punk è ancora vivo, perlomeno quello melodico, se delle giovanissime ragazze, forse non tutte ancora maggiorenni, già riescono ad affiatarsi musicalmente, oltre che come amiche. Certo, sono i primi passi, c'è molto da lavorare sull'interplay tra gli strumenti, però "Fix" (appena uscito per Beng! Dischi) è un album registrato alla vecchia maniera, in venti giorni, e la brevità di tempo impiegato, oltre a far sentire qualche imprecisione nel mix e nel master, fa anche ascoltare direttamente, senza troppi filtri, il sound e l'intenzione della band. Ci sono brani in inglese e in italiano, e si alternano lenti con chitarra acustica a canzoni più aggressive con chitarra elettrica ben suonata (anche nell'assolo di "Nella nostra realtà") e un atteggiamento alla Avril Lavigne. I testi sono sinceri e scritti col cuore, sono i reali pensieri delle ragazze, senza indossare maschere da adulte. La confusione sentimentale è percepibile in "Dear you", dove il ritornello alterna tanti "Fuck you" ad altrettanti "I love you". Un po' di modestia e di senso di resa traspare dall'acustico "Non so scrivere canzoni", con una melodia un po' parrocchiale: "Non so scrivere canzoni, non so vivere emozioni (...) posso soltanto provare, con il tempo imparare", e la cantante Zoe si rivolge all'ascoltatore: "E tu, sei sempre forte?". Sul versante cattivo invece si trova "Escape", una corsa che parla di voglia di fuga da "this fucking town" e la canzone col motto più noto nel punk: "I don't care". "Nella nostra realtà" è invece un brano romantico ed orecchiabile, che vuole farsi ricordare: "Noi due là, dove splende il sole, il tramonto è rosa, e la radio accesa". Anche "Ciò che siamo" affronta le emozioni dell'amore, sempre rapportate a una visione cupa della realtà: "Solo tu mi fai venire i brividi, solo tu hai significato, in questo mondo malandato". C'è anche un curioso cambio di tempo nel ritornello: "Tu sei me, io sono te, siamo ciò che abbiamo voglia di essere". In "Last wave" un riff stoppato à la Green Day chiude le canzoni "normali" dell'album. La voce canta un po' sottotono per tre quarti del pezzo, ma la cattiveria riesce ad uscire nel conto del tempo: "ONE, TWO, THREE, FOUR!". Avendo sentito questa capacità in quel secondo e mezzo, un consiglio rivolto direttamente a Zoe è di ascoltare i Love in Elevator, in particolare il pezzo "Oh di Vuh"; probabilmente continuando a studiare, può arrivare alla stessa (pre)potenza di quei "Come on!". La canzone finisce rovesciando dispettosamente un bastone della pioggia, anticipando il finale. L'ultima traccia "Bonus" non è "normale", non è neppure una canzone: sono i ringraziamenti personali della band, rivolti all'ascoltatore, ai genitori ed allo studio, accompagnati da note anarchiche di pianoforte. Forse voleva essere uno scherzo autodistruttivo, che un po', per il momento, rischia di relegare le All Broken 19 alla realtà locale; ma invece proprio qui emerge una, ancora acerba, capacità comica, guidata nella voce ironica: "Ringraziamo le nostre fonti d'ispirazione, Fonte Sant'Anna, Fonte San Benedetto...". Se continueranno a crescere e ad esplorare la musica, non solo pop punk ma anche ad esempio il dark cabaret, magari un giorno potranno anche prendere in giro un pubblico più vasto, dando a tutti dei "pori ciucchi". (Gilberto Ongaro)