GIN LADY  "Electric earth"
   (2017 )

Introdotto dal lungo boogie sudista di “Flower People”, cavalcata polverosa à la Lynyrd Skynyrd con progressione armonica memore perfino dei Fab Four, “Electric Earth” è il quarto album di studio della band svedese Gin Lady, formatasi nel 2011 e transitata attraverso graduali ma incessanti mutamenti stilistici fino all’odierna trasformazione. Nei cinque minuti à la Tom Petty di una strabordante “I’m Your Friend” sta l’emblema di un disco antico che si muove e si sviluppa nel solco della più profonda tradizione roots, indifferentemente americana o inglese, un lavoro apprezzabile pur nella sua calligrafica riproposizione di sonorità e stilemi d’antan, capace di affrancarsi dall’aspro taglio hard-rock degli esordi con apparente lievità. Sotto una patina di gradevole primitivismo vintage che ne ammanta trame e dinamiche, “Electric Earth” diviene quasi una sorta di insistito omaggio alle origini ancestrali di una scrittura sublimata da celebrità sparse a cavallo tra ’60 e ’70. Ruvide suggestioni stonesiane avvolgono una “Mercy” dall’andamento altalenante, e poco importa che su “Badger Boogie” si avvertano echi di “All Along The Watchtower” o in “The Things You Used To Do” della “The Weight” resa immortale da The Band: nell’economia generale dell’album vanno benone anche i sei minuti di “Brothers Of The Canyon”, quasi una “Sultans Of Swing” cantata dagli America (bello il solo di chitarra che ricorda i Deep Purple), come pure una “Rolling Thunder” sì zimmermaniana, ma accarezzata da un morbido basso arrotondato, o l’accoppiata di bluesacci nervosi di “Water And Sunshine” e “Wasted Years”, fino alla ballata laid-back di “Running No More” che chiude su un rallentamento sornione e furbetto. Incombenti ma non minacciose, ombre lunghe di Eagles e Humble Pie, Black Crowes e Free, ma anche di Allman Brothers, Ten Years After e Thin Lizzy si stagliano prepotenti su un disco che sembra provenire da un’altra epoca. Qualsiasi cosa ciò significhi, nel bene o nel male. (Manuel Maverna)