GRAVE  "Grave"
   (2017 )

Ad un primo approccio - magari distratto o superficiale - queste quattro lunghe tracce che compongono l’esordio del trio friulano Grave (pronunciato all’italiana) potrebbero comodamente lasciarsi derubricare a generico stoner-rock. Ed invece, ad un centimetro dal baratro del manierismo, Davide Pillino (basso), Demos Zanelli (batteria) e Marco Murello (chitarra) scartano all’improvviso, spingendosi oltre l’ostacolo quanto basta per nobilitare un ep denso come lava che si concede pure di far muovere il piedino o di invitare all’headbanging davanti allo specchio. Non mi ricordano tanto i Kyuss, citati tra i loro modelli, quanto piuttosto una qualche deriva verso territori sì limitrofi a quello stoner-rock cui sentono di appartenere, ma dal quale sanno discostarsi grazie ad un approccio che deraglia in lidi post. Compatti, non nevrotici, soprattutto mai strafatti o visionari come si converrebbe alla materia, i quattro brani differiscono in fondo per semplici dettagli: non per particolari impennate, soluzioni cervellotiche, muraglie rumoristiche, trame imprevedibili o quant’altro. Ma l’insieme non manca di appeal, si tratti dell’incipit sornione di “Weed On Mars” e del suo incedere felpato che ricorda addirittura i June of ’44, o dello spesso strato di distorsioni che agitano “Dancing Sabba”, della frenesia granitica che scuote la coda di “The Expanse Of Stone” o della bordata squadrata di “Meltdown”, trafitta da riff in serie e scossa da inattese accelerazioni. Più affine forse alle arie secche e spedite degli inarrivabili Battles di John Stanier, o alla sferragliante elettricità inacidita dei Karma To Burn, quella dei Grave è un’interessante – ed alquanto personale – incarnazione di una musica ruvida – non grezza - e tagliente, in cui la determinante preponderanza dell’elemento ritmico e delle dinamiche creano paradossalmente un ingorgo sonico intrigante. (Manuel Maverna)