WHITE MOSQUITO "Superego"
(2017 )
Ha validi spunti ed una provvidenziale robustezza “Superego”, terzo album di studio dei genovesi White MosQuito, quartetto attivo da una decina d’anni con crescenti fortune ed una incrollabile fiducia in sé.
Ruvidi e muscolari, incisivi ma semplici e diretti, ricordano nei ritmi insistentemente sostenuti, nel piacevole (ab)uso di riff, nel canto stentoreo e nelle linee asciutte ed essenziali sia i Negrita (la sassata di “Complice” in apertura, il chorus di “Male In Pillole”) sia i Litfiba dell’età-di-mezzo (“Terremoto” e dintorni riecheggiano in “Rivoluzione”), sia addirittura il Ligabue che fu, con buona pace dei detrattori di ultima generazione.
Con poche e perdonabili flessioni (“Senza amore” potrebbe provenire dal repertorio dei Modà) e ridotte puntate in territori appena più impervi (“Contrordine”, su una esitante e sbilenca aria western, tra gli episodi migliori), l’album rimane godibile, forse appena monocorde nella ostinata riproposizione di uno schema spesso invariato, ma comunque efficace nel conservare intatta una aggressività paradossalmente pulita e lineare.
Canta con piglio istrionico Sergio Antonazzo, ottimo interprete di un rock tradizionale con ben poco di ibrido o di avventuroso, supportato da un riuscito lavoro sui suoni, immancabilmente pieni, rotondi, densi. Il ritmo sempre tirato contribuisce a tener desta l’attenzione tra echi zeppeliniani (“Per Non Morire”, “Vorrei”) e suggestioni Afterhours (“Hey Man”) fino alla ballata languida di “Da Qui”, epilogo gentile che regala un commiato addolcito nel mare magnum di un’elettricità fragorosa e dritta al punto. (Manuel Maverna)