ALESSIO LEGA  "Mare nero"
   (2017 )

Mestierante di lungo corso, aedo ed affabulatore, Alessio Lega abita fin da “Resistenza e Amore”, debutto datato 2004 che gli valse la Targa Tenco per il migliore esordio, una nicchia in cui convivono il lirismo intellettuale e l’immaginario popolare, un bestiario di variegata umanità impastato di poesia e miserie. “Mare nero”, tredici tracce autoprodotte, segue di quattro anni “Mala testa” e presenta il ritratto fedele e coerente di un artista impregnato fino all’osso di istanze egualitariste latu sensu, tredici episodi che tecnicamente sono sì delle outtakes dei dischi precedenti, ma conservano intatto il primigenio fulgore. Cantautore in un modo garbato e forse un po’ desueto, Alessio è un raffinato narratore vecchio stile, di quelli che stipano mille parole in rima negli angusti anfratti di un verso, nei pochi minuti di una canzone. Scrivendo con eleganza antica senza flettere in impegno, stentoreo ed ideologicamente incrollabile, mai leggero né accomodante, nemmeno nell’irresistibile swing circense à la Jannacci di “Hanno Ammazzato Il Mario In Bicicletta”, neppure nelle altre dodici tracce, che sciorinano un campionario di figure, esempi, episodi legati da un comune eroismo antagonista, Lega dispensa senza sfoggio di inessenziale humour o concessione alcuna alla frivolezza le sue tese cronache di vita, amore, morte. “Mare Nero” è una lunga riflessione senza nulla da ridere, nessuna lievità ammessa in un florilegio di romanticismo d’opposizione che sbatte in faccia agli astanti tutta la verità, nient’altro che la verità. Procede oscura in foschie sinistre à la Cesare Basile "Canzone Del Povero Diavolo", disegna un'epopea in tre minuti "Ambaradan", timida concessione all’accessibilità; spiazza lo stornello drammatico di "Santa Croce Di Lecce", gioca con una grigia immagine di Milano "Stazione Centrale", tra i pochi episodi che azzardino una sortita in territori musicalmente più impervi: è quasi un'idea à la Incani, con un crescendo dissonante che lievita gradualmente, sebbene interpretato con enfasi convenzionale. Ricalca i toni ed i modi di Unòrsominòre "Maddalena Di Valsusa", resistente ed elettrica, colpisce il folk balcanico antifascista di "Porrajmos" che ripercorre in un sussulto da brivido lo sterminio dei Rom in tempo di guerra; ricorda Enzo Baldoni una raccolta e fremente "Zolletta", contrappuntata da piccole interferenze, inneggia all'anarchia il rebetiko à la Capossela della title-track. Disco enciclopedico, a tratti esaltante, “Mare Nero” offre in cinquantatre opulenti minuti infinite idee ed altrettanto materiale, finestra sul mondo di un autore deliziosamente ostico ed ostile, uno che, in barba a qualsiasi tentazione di modernità spinta, avrà sempre parecchio da insegnare a chiunque. (Manuel Maverna)