AN EROTIC END OF TIMES  "Chapter one"
   (2017 )

Introdotto dallo strisciante martellamento variegato di “I Am Become Death”, programmatico manifesto tranchant, “Chapter one” segna l’esordio su Les Disques Rubicon/Echozone del duo francese An Erotic End Of Times, nuova avventura varata da Philippe Deschemin e Erwan Frugier, già fruttifero sodalizio nei Porn un paio di lustri orsono. Se il suo fascino mesmerizzante fosse interamente contenuto nella sua torre di melismi gotici ibridati con un metal-core scuro e ferino, “Chapter One” sarebbe unicamente l’espressione compiuta di uno spleen sepolcrale soffocante e ossessivo: ma il duo declina la materia aggiungendo un lavoro testuale che percorre la via per il calvario in una selva oscura agonizzante e claustrofobica, sabba di rigurgiti gutturali ed improvvise accelerazioni, come la sassata à la Temple Of Love di “Love is the end”, sospesa fra echi di Drown e Sisters Of Mercy, o la truce doppietta à la Nephilim di “No Rights Except To Die” e “One Second After”, ipnotici rallentamenti catacombali che sottraggono ossigeno e sanno di marcio, sporcizia, fine imminente. E’ ben più di un Minute Of Decay l’opprimente mid-tempo agitato di “A Freaky World”, sberla degna del mr. Warner che fu; spaventa la chitarra affilata ed efferata che trafigge i borborigmi di “Writings On The Wall”; ammalia la cantilena orrifica di “The Hangman”, memore di Eldritch e dei suoi impenetrabili, reconditi anfratti bui; avvolge e stordisce l’addolcita e trasognata chiusura di “The Origin Of All Coming Evil”, commiato struggente che si impenna lento in spirali elettriche e muore in due minuti di pianoforte e piccole interferenze, timida ipotesi di evasione dall’hortus conclusus nel quale l’album si infila e si rintana. E’ un’aria di meravigliosa tenerezza, figlia addirittura dell’introversione languida dei Blonde Redhead, ma mentre si concede ad uno spiraglio di luce fasulla abbassa il sipario sull’ennesima ode muta all’infinita vanità del tutto. Questo è “Chapter One”, otto tracce monolitiche in minore edificate sulle fondamenta di genere, imbevute di una tetraggine innata e primitiva: gotico sì, ma insolitamente energico e profondo, amplificato da sonorità ricche e rigonfie, mostruoso e (forse) prevedibile, ma sinistro come si conviene, soprattutto segnato da una levigata, elegante intensità su cui aleggia incessante lo spettro dell’inevitabile. (Manuel Maverna)