FORM FOLLOWS "Morfosi "
(2017 )
Il primo LP del duo livornese Form Follows, dalla storia freschissima e dalla produzione estremamente variegata e ampia, con già 3 EP all’attivo pubblicati in poco più di anno, è una bellissima esplorazione dell’universo dell’elettronica del passato e del presente, una passeggiata nella storia stupenda di questo meraviglioso genere; rappresenta, infine, un’unione di forze tra la “old” e la “new school”, con accenni che riconducono a Caribou, Four Tet e trip hop, e con un’attitudine che rimanda al background chitarristico dei due elementi del gruppo.
Filippo Conti e Fabio Saggese riportano ampio respiro a un genere che in Italia sempre di più scade nella scopiazzatura, nella banale riproposizione di vecchi stilemi, nel “tributo-non-voluto” che sa di “compitino”; e riportano al centro del gioco il mondo gigantesco dell’elettronica in tutte le sue striature, stranezze e meraviglie. Con featuring presenti solamente in due brani, il duo si districa bene in un’atmosfera difficile da saper gestire, e sono bravissimi a evitare di ricadere nella mera semplificazione (o “spiritassolutizzazione” – mi si passi il virtuosismo linguistico) di questa corrente musicale. E così, con occhi attenti per un passato che arriva fino ad Alan Parsons e procede attraversando le tante declinazioni che Gran Bretagna e Stati Uniti hanno saputo dare dagli anni Settanta a oggi, i due arrivano a ispirarsi in particolare ai grandi geni di oggi, come il francese Caribou, i Four Tet, il gigantesco Nicolas Jaar e il venezuelano Arca. Suoni venati di world music, trip hop, new age si intrecciano; e proprio Caribou è l’artista di cui sentiamo maggiormente l’influenza.
“Morfosi” si apre con “Rise”, una discesa nella foresta della dissennatezza, con ritmi quasi caraibici e sognanti – i campionamenti di chitarre e altri strumenti a corde sempre in primo piano, a dimostrare da quale àmbito questi due ragazzi provengono. La danza di “Rise” è seguita da due pezzi ancora più ritmati, che inseguono i vari ticchettii e campanelli in modo estroso e straniante: “Cup of Coffee” è la più minimalista (o, meglio dire, la meno massimalista!) delle due, mentre “N.O.E.”, impreziosita dalla collaborazione vocale di Matteo D’Angelo, ex chitarrista dei Siberia, è più colorata: primo singolo del disco, con un titolo che è la sigla con cui viene denominata la tecnica con la quale, in chimica, si verifica la prossimità degli atomi, “N.O.E.” è un’altra splendida fuga verso l’ignoto. “Sunday Evening”, poi, riprende il massimalismo del disco: qui vi è quasi un tuffo nella house di Chicago degli anni ’80; i ritmi densi e cadenzati fanno ballare e i sintetizzatori non concedono un momento di pausa. Atmosfere dilatate anche in “Water”, che presenta campionamenti di voci sibilline e inquietanti, e assume quasi il carattere di preghiera per la sua dolcezza e tranquillità.
Nella seconda parte del disco il livello qualitativo si mantiene alto. “Running After” è l’elettronica che strizza l’occhio al rock classico, bella e struggente, quasi rabbiosa nelle sue scariche di suoni caldi ed energici. “Stuff” prende il via su percussioni caraibiche e flirta con ritmi e melodie per certi versi esotiche: ricompaiono gli strumenti a corde campionati, uno strumento a fiato che pare una tromba e altre chitarre distorte, che rendono il pezzo a tratti un torrido rock sudista; il tappeto ritmico non cede nemmeno un secondo, rendendo il brano ipnotico e jazzy al tempo stesso. L’altro featuring del disco è quello di Hymenia in “Fire”, brano solido, uno dei migliori del disco, dove la voce femminile sa diventare anch’essa strumento e suono naturale in mezzo a scricchiolii, battiti di mani e fluide melodie di chitarra. La chiusura del disco è affidata a una ripresa più aggressiva, veloce e psichedelica di “Running After”, che fa calare il sipario su un disco ottimo, originale ed estremamente variegato, che rappresenta una bella conquista nel panorama italiano attuale.
(Samuele Conficoni)