BAROCK PROJECT "Detachment"
(2017 )
Prima o poi doveva succedere che qualcuno si prendesse la briga di smontare il luogo comune che, quando si propone musica-prog, ci si aspetti l’ascolto di lunghe suites di largo minutaggio. Ci ha pensato il polistrumentista Luca Zabbini, leader dei Barock Project, (formazione emiliana attiva da oltre un decennio), a tentare di applicare il proposito dando alle stampe il sesto lavoro “Detachment”, che trasuda di connotati internazionali. Ci sarà riuscito? In parte sì, se si considerano i riferimenti al passato, benché qui ci siano titoli che arrivano a toccare anche i 9 minuti come “Broken”, nel quale si lascia libero sfogo all’ospitata prestigiosa del vocalist britannico Peter Jones che, con la sua voce, rende ancor più suggestiva ed elegante la globalità sonora anche nell’altro pezzo “Alone”, sebbene più corto e più classico nella sua delineazione. I 13 episodi dell’album sono carichi di digressioni stilistiche, accelerazioni improvvise, arsenali di melodie dolci e fughe musicali di gran classe. Nello specifico, cito “Promises”, con lunga intro di tastiere echeggianti e sviluppo brillante con stacchi di cori e miscelature ad effetto, e “A new Tomorrow”, un prog che si mette in mostra per le pregevoli sezioni in stile Jethro Tull a braccetto con i Dream Theater. Non c’è dubbio che il sound dei Barock Project ha carattere trasformista spesso e volentieri. Prendete, ad esempio, “Secret” assolutamente camaleontica con aspetto orientaleggiante per buona tratta ed inserimento di chitarre aerobiche che la rendono fluida e gustosa, oppure “Rescue”, elaborata su accordi stoppati per garantire massima efficienza ritmica. A dirla tutta, nel percorso dell’opera, si riscontrano anche parentesi poco esaltanti, ma il valore complessivo di “Detachment” è fuori discussione, in quanto massiccio e ben coeso. L’esperienza pluriennale del quartetto è messa bene al servizio di partiture vibranti e sorprendenti, in cui la mole sinfonica e le varianti jazzy e fusion tributano al combo emiliano diffuse e “progressive” lodi anche oltralpe. Ha fatto bene Zabbini ad intitolare l’album “Detachment” perché si era imposto, senza forzature, di operare (in fase compositiva) un “Distacco” più spontaneo e libero. Gli era necessario per reinventarsi per l’ennesima volta e, soprattutto, per confermarsi onesto con sé stesso: questa è la vera quintessenza dell’arte. (Max Casali)