PALINURUS ELEPHAS  "Fame di niente"
   (2017 )

Palinurus Elephas è il bizzarro nome di cui si fregiano quattro ragazzi della provincia pavese all’esordio autoprodotto di “Fame di niente”, otto tracce che seguono a tre anni di distanza il debutto vero e proprio di “Nostomania”, ep che ebbe il merito di farli conoscere grazie ad una intensa attività live ed al valido singolo “Johnny Sigaro”. Sospeso fra un’anima indie ed insopprimibili risvolti leggeri, quasi non volesse cedere al pop ma non potesse sottrarsi al suo richiamo, “Fame di niente” apre con la programmatica “Testa bassa”, strofa esitante à la Niccolò Fabi a lievitare in un chorus perfetto su un registro vocale da Roby Facchinetti (sic!), contraltare al medesimo gioco che spinge “Il settimo giorno” da un abbrivio aspro ad un ritornello arioso o la sostenuta “Regina del mercato” da un incipit attendista - zona Litfiba d’antan - ad un inciso più lanciato e sguaiato, quasi il Management Del Dolore Post-Operatorio (che ritorna pure nella successiva “Le piante”). Quella dei Palinurus Elephas è musica asciutta ed essenziale che procede per strutture ben note oscillando sempre fra gli estremi di cui si diceva, raggiungendo un buon equilibrio dei suoni, producendo brani solidi che mai perdono il tiro né si smarriscono fra le brume degli eccessi: prevalgono i 4/4 con basso corposo ed un’insistita ricerca del gancio melodico in ogni linea, sia essa esitante e vagamente incupita come nel rallentamento di “Mondo cieco” o più frenetica come nella grottesca “Ursula Andress”, che vira a passo baggy su un testo irriverente. “Fame di niente” è un ibrido ben riuscito cui difetta forse un’oncia di malsana cattiveria - o di stralunata follia? - per essere off, ma non così allineato da potersi definire popolare tout court: ne è esempio lampante “Secondo cervello”, con un up-tempo forsennato da Cure sul quale stride un testo troppo addomesticato per spaventare o semplicemente inquietare, emblema di un lavoro che di rado impressiona, ma che mai delude. Per ora: interessanti, in attesa che scelgano da che parte tuffarsi sul prossimo calcio di rigore. (Manuel Maverna)