ELLA GODA  "Ella Goda"
   (2017 )

Un’esortazione, una formula apotropaica, o ancora “due parole che stanno bene insieme”, come hanno dichiarato i tre: Ella Goda racchiude tutto questo, in un nome pieno di mistero e di spinta ad agire sul presente, per rischiare e dare così una svolta alle proprie vite. Questo esordio è una felicissima celebrazione del power pop, in bilico tra citazioni fedeli al passato e soluzioni originali attuali e intriganti.

Il disco parte forte con un brano che ha nel titolo una citazione al romanzo di Irvin Yalom, “La Cura Schopenhauer”: si può cercare il rimedio a un problema con un altro problema intrinseco e insolubile, complesso e al tempo stesso difficile da accettare, come è d’altronde la filosofia di Arthur Schopenhauer e come è anche il brano, subito calda riflessione su cosa sia il power pop oggi e su come possa essere abilmente declinato in chiave punk, aggressiva ed energica, per mezzo di chitarre graffianti e batterie prorompenti, che non sono mai semplici sostegni ritmici. Percepiamo le influenze più classiche del genere – gli Who dei ‘60s e i monumentali Big Star di Alex Chilton in “La Mia Eredità”; gli Weezer, e con loro tutto il revival anni ‘90 del genere, in “Quattro Anni”. La grandezza di questo giovane trio è la capacità di riattualizzare un genere che rischiava oggi di suonare datato a un orecchio attento; in questa riattualizzazione ha grande influsso la componente più spiccatamente punk o alt-rock anni Novanta, che incrocia i Pavement all’altezza del loro disco più pop, vale a dire “Brighten the Corners”, e si scontra con alcuni richiami ai loro gruppi “rivali”, altrettanto influenti e decisivi, ossia i giganteschi Smashing Pumpkins e Stone Temple Pilots.

“Apotropaico”, termine utilizzato dal sottoscritto nell’introduzione poco sopra, è qualcosa che descrive bene le due parole del nome del gruppo, ma anche il loro sound, che cerca di riportare in vita un genere che in Italia ha sempre avuto declinazioni banalizzanti ed estremamente superficiali. E il termine ritorna poi nella tracklist: “Canzone Apotropaica”, settima traccia e uno dei picchi assoluti del disco, riesce a risultare un perfetto inno underground che però al tempo stesso non stonerebbe in una radio nazionale o persino nel festival nazionale per antonomasia (e i tre ragazzi non se la prendano: sappiano anzi che in questo caso un brano come quello alzerebbe di molto il [bassissimo, attualmente] livello di Sanremo, e forse il Festival nemmeno meriterebbe un brano così riuscito!). E in un brano del genere, che ha una apertura melodica meravigliosa e un testo lucido e profondo, si sentono influenze dell’alternative italiano, soprattutto quelle dei primi Baustelle e dei Tre Allegri Ragazzi Morti di “fin de siècle”. Una voce à la Francesco Bianconi è padrona anche nella bella “Qualcosa di Astratto”, dove il gruppo crea un’atmosfera corale e filarmonica meravigliosa, teatrale e imponente. Ma proprio lì dove il brano sembra virare verso un classicismo quasi sanremese, ecco che intervengono l’elettronica, la chitarra distorta, la batteria mai uguale al frammento precedente. E anche questo pezzo prende fuoco e diventa regale.

Tanto pop, come si diceva, e mai inteso come slancio commerciale o come semplificazione: i ritmi sono variegati, le melodie originali, gli arrangiamenti diretti ma curatissimi. “Solo il Silenzio” è il biglietto da visita adatto per mostrare quanto sia raffinata la sonorità della band; quanto sia derivativa, certo, ma anche fresca e ariosa nel suo tentativo di trovare nuovi sentieri in un percorso inevitabilmente già battuto da tanti gruppi prima di loro. Ed è lì che il disco vince, risulta godibile e rappresenta un centro pieno per il trio: brani come “Anni Luce da Te”, “Uomo e Cosa” (il titolo deriva da una poesia di Marco Ardemagni) e “Che Cosa Rischiamo?” sanno essere classiche perché accordano intuizioni straniere con andamenti nostrani, dando così al tutto una patina di citazione ed uno strato di nuovo raramente rintracciabili in Italia negli ultimi tempi. Un disco d’esordio di questo tipo non può che essere positivo, perché sa divertire facendo riflettere; e indica al gruppo il percorso da seguire per poter continuare su questi livelli qualitativi. (Samuele Conficoni)