REFLECTIONS IN COSMO "Reflections In Cosmo"
(2017 )
In Norvegia esistono gli Humcrush, band jazz ed elettronica parecchio sperimentale, fondata dal batterista Thomas Strønen e dal tastierista Ståle Storløkken. C'è anche Kjetil Møster, un sassofonista rinomato per svariate collaborazioni tra cui una performance con Chick Corea. Infine ci sono i Motorpsycho, una band che per comodità si definisce progressive, ma in realtà fonde elementi di metal, jazz, post-rock, alternative rock e tanto altro ancora. Cosa succede se il chitarrista dei Motorpsycho, Snah, incontra gli Humcrush e Kjetil e decidono di suonare assieme? Succede che ne escono fuori i Reflections in Cosmo, un supergruppo praticamente indefinibile... per definizione. Sì, si potrebbe dire come al solito: "Quando non sai cos'è, è jazz!", ma qui si va oltre. Il brano "Cosmic Hymn" di questo loro album d'esordio, è il perfetto esempio. Poliritmia percussiva, soli di sassofono che da virtuosismi rapidissimi si trasformano in clacson, chitarra distorta che dire dissonante è un eufemismo, rendono questo brano inafferrabile, può risultare estremamente affascinante per alcuni, e intollerabile per altri. All'inafferrabilità si aggiunge anche una sensazione di suspence in "Perpetuum immobile". La tensione però è tutta interiore, non c'è senso di velocità. Tutto il materiale musicale è sapientemente dosato, e all'illusione dell'immobilità - per l'armonia, o meglio la disarmonia che non cambia - corrisponde una continua variazione timbrica. "Cosmosis" invece si può perlomeno inquadrare in un jazz rock psichedelico, così come "Ironhorse" è un classico viaggio su un riff ripetuto di chitarra. Classico anche se in 9/4. Le prime note del riff, in questa intenzione, ricordano il basso di Roger Waters in ''Echoes'', ma a parte questa evidente similitudine siamo ben lontani dal quel preciso sapore dei Pink Floyd. Le allucinazioni dei Reflections In Cosmo sono più crepuscolari, complice il sax che crea dei microtemi che variano a più riprese all'interno della struttura. In "Balklava", un suono di piano elettrico fortemente detunato innesta il tema principale, costituito da bicordi inquietanti. Il gusto per il tetro del tastierista emerge anche in "Fuzzstew", il brano più cattivo dell'album: qui Storløkken svolge la funzione di bassista, attraverso il Moog, ed elabora il synth enfatizzando un armonico molto acuto che perseguita l'ascoltatore tutto il tempo. Nel frattempo la chitarra devastante è accompagnata dal sassofono che ingegnosamente svolge la funzione solitamente riservata al palm muting di chitarra ritmica nell'heavy metal. A metà brano il batterista ci concede un tempo scandito e intelligibile. Tutti questi esperimenti si trovano racchiusi nel brano di chiusura, omonimo all'album e alla band: "Reflections in Cosmo". Qui rullate velocissime sostengono un sax che improvvisa e un hammond che crea pad saturi assieme alla chitarra che a fine brano esegue un breakdown metal e il pezzo si ferma lasciando dei delay sfumare nell'aria. Jazz, elettronica, prog, metal? Che dire, queste scelte sono di finissima qualità, e soddisferanno senz'altro i più curiosi di novità, mentre i più tradizionalisti - sia del jazz che del prog, ma forse non nel metal - potrebbero storcere il naso. Ma in ogni caso, la prima reazione dovrebbe essere uguale per tutti: "Eh?". (Gilberto Ongaro)