IL GRANDE CAPO  "Promesse"
   (2016 )

Chi si prefigge di intraprendere un percorso sonoro alternativo, sa benissimo che l’innovazione non può scaturire dal nulla, ma occorrono, bensì, miriadi di prove e sperimentazioni che perdurino negli anni: ed è proprio questo percorso che han fatto i laziali Il Grande Capo, che concentrano tutto in questo debutto “Promesse” assumendo inusuali tinte alternative pop-rock. Inoltre, contrariamente a quanto qualcuno crede, han capito che anche il nome da dare alla band è importante e non un trascurabile dettaglio. In quanti ne avrebbero scelto uno che sia, al contempo, ironico, bizzarro, autoritario e apparentemente ossequioso? Ma è un battesimo che si porta dietro un altruistico gioco al rialzo, un istinto protettivo, un forte richiamo alla difesa della congrega. Chiariamo, da subito, che non sono “Promesse” da marinaio ma, semmai, quelle mantenute con precisa coerenza in un tira e molla di ricordi, divertimento e sagace imprudenza; un imperdibile rendez-vous per riconoscersi in vissuti ed esperienze non tanto lontane da noi. Le tracce dell’album frullano sani amarcord e pensieri tattili, dove si avverte un assoluto, immanente ideale. La nostalgia, come pure la freschezza evocativa che alligna nei testi, è il marchio genuino dei quattro laziali, perché sanno farsi capire senza troppa ermeticità ed evitando il rischio di essere tacciati di snobismo. Ben venga la dinamicità ponderativa di brani come “L’innocente”, “Promesse” e “Pubalgia”, che si evidenziano per i sintetizzatori che, indiscutibilmente, li abbelliscono con piacevole gusto seventies. Invece i riff chitarristici di “La metro va” ti si inchiodano nella testa senza scampo e fanno del pezzo un gustoso sorseggio per tutti. L’apice degustativo si assaggia con “Sottovoce”, ben calibrato negli ottimi arrangiamenti e carezzevole nello splendido finale strumentale, che lo candida fortemente come secondo singolo su cui puntare, dopo “Il mare è troppo grande” che ha creato un certo hype intorno al gruppo e non ha fatto pentire i sostenitori del crowdfunding, che sono andati a finanziare i ragazzi oltre ogni più rosea previsione. Benchè la centrifuga si inceppi un poco per l’eccessiva malinconia di “Di luce”, inadeguatamente collocata in coda al disco (e in contro-tendenza al loro ideale protettivo), è lodevole l’impegno del quartetto di ambire a quel record di “salto in alto” che li porti a scalare quel centimetro in più per raggiungere la vetta sensoriale. Sotomayor è avvertito… (Max Casali)