PLEASE DIANA  "Esodo"
   (2016 )

Il secondo album del quintetto umbro Please Diana è un’esplosione di energia che ha nel rock americano dei ‘90s le sue radici più forti, ma è anche debitore di elementi punk e pop che creano un’atmosfera estremamente originale e godibile.

Dove i Pixies e i Breeders incontrano il rock delle nuove leve – le varie cantautrici Courtney Barnett, Angel Olsen – e gruppi più aggressivi come i Replacements e i nostri Verdena, lì nascono e crescono i Please Diana, formatisi nel 2011 ad Assisi, che in questo secondo album ergono l’aggressività e la sentita “delivery” delle parole e del cantato a protagonisti assoluti. Il disco non ha nessun momento debole – già la partenza motivata e motivante di “Percorso” promette benissimo; “Pandora” ne è il perfezionamento in questa linea: la rovente linea vocale seguita da cori puliti e caldi, aumentata dal pulsare di un basso preciso e di una batteria prorompente, si staglia su una fantasia di chitarre distorte che dimostra quanto i Please Diana debbano proprio a quel rock a cavallo tra ‘80s e ‘90s – Pixies e Breeders, come già detto, ma si può sentire anche qualche accenno ai successivi Soundgarden – che ha fondato un’intera epoca e creato un mito. Ma ci sono anche influenze più vicine a noi. “Sosia” è una bellissima canzone pop costruita su un ritmo e un arrangiamento piuttosto duri, che sono la carta da visita dell’opera, e ricorda da vicino i Verdena del periodo 2004-2007, quello maggiormente emozionale.

Sì, proprio così: emozionale. Questo album è profondamente emozionale. Lo si sente nella voce femminile, nelle voci maschili, nelle chitarre singhiozzanti che sembrano piangere, nelle batterie e nei bassi a metà tra arrabbiati e frustrati: la giovinezza che passa, la “tempesta nell’anima” (come ribadisce “Sosia”) che non si placa, uno scorrere del tempo che produce nuovi problemi e non cura mai del tutto le ferite ancora aperte. Anche “Volto” e “Pietre” emanano quell’odore giovanile che la delusione e la disillusione rendono aspro, forte, sempre vicino a quello della marcescenza e a quello della rinascita. Il suono non vede particolari salti; la stabilità del disco si fonda proprio su questo equilibrio e intreccio in cui la durezza è sintomo di una ribellione interna, di un movimento emozionale profondo che non riesce a portare ad un qualche cambiamento. “Settembre” è ancora un omaggio ai Verdena: squisitamente orecchiabile, è uno degli episodi più melodici – e più riusciti – dell’album.

I momenti cupi sono raggruppati soprattutto nella seconda parte del disco, che con “Porpora” e “Sabbia” diventa estremamente criptico; ma ci sono anche momenti di rilassamento – soprattutto negli assoli di chitarra e nella seconda parte di “Porpora”, che diventa improvvisamente un flusso di coscienza e ripetizioni che colpiscono l’anima nuda dell’ascoltatore. Anche “Fiume” – nel suo procedere nervoso, frammentario, spezzettato – è una fotografia del cantante e delle sue turbe interiori: “È nello stomaco che affondo / nel sentimentalismo dei miei sogni”; il ritornello è di nuovo un rimando chiaro alle atmosfere de “Il Suicidio dei Samurai” dei Verdena. La conclusione del disco è lasciata a un maggiore divertimento, ad uno scatenarsi libero, dove la rabbia ha fatto posto al piacere puro e vero di suonare: il finale in crescendo di “Eroi” e la pregiatissima “Felina”, un brillante miscuglio di chitarre, archi, fiati, che si incupisce e si rallegra quando meno ce lo si aspetta, presenta una coda lunghissima che dimostra ancora una volta come questa opera seconda dei Please Diana sia davvero azzeccata. (Samuele Conficoni)