VIOLACIDA "La migliore età"
(2016 )
I Violacida sono un quartetto lucchese nato nel 2010, rappresentanti anomali di una scena refrattaria alle tendenze ed impermeabile alla contemporaneità. Low-profile nell’aspetto e pacati nei toni, musicalmente si distaccano con prepotenza dalla pletora di voci massificate grazie ad una scrittura insolita e ad un’espressività trattenuta che si colloca con compassata baldanza al crocevia tra disparate istanze. “La migliore età“ scodella undici tracce inafferrabili, sfuocate eppure consistenti nella loro interezza, un concept involontario sulla meglio giovinezza-che-si-fugge-tuttavia, album che – sì – smells like teen spirit, ma che imbastisce un pop retrò patrimonio di ben pochi eletti (su tutti i Baustelle, un passo più indietro forse Le Vibrazioni, intelligenti e sottovalutati, ma più ammiccanti e furbetti, o forse i Vidra con le loro suggestioni anni ottanta). Misurati ed eleganti, i quattro incarnano un melting-pot di sorprendente coesione che richiama Fast Animals And Slow Kids a braccetto con un Calcutta più raffinato (ad esempio nella brillante apertura di “Canzone della sera”, non a caso scelta come singolo), dispensando rigurgiti di emo-core non così invisibili (“Temporale”, ma anche il corale sgolato de “Il Fiume” in chiusura dell’album) ed echi antichi di Lucio Battisti e Camaleonti (“Occhi chiusi”), il tutto offerto con sapiente lievità e garbata riflessività in trentasette minuti che concedono poco allo spettacolo, screziati da un andamento irregolare e imprevedibile fra sonorità desuete, uno stile canoro non lineare ed uno sviluppo altrettanto sbilenco. Fra un terzinato d’antan (“Contraccettivo”) e i pochi accordi infidi di una “Monte blu” che gigioneggia tra “Walk on the wild side” e i Jesus & Mary Chain di “Stoned & dethroned” (sic!) si fanno largo il chorus ampio ed arioso di “Sentiero”, la svenevole ballad di “La tua età”, l’aria dimessa, esangue e minimalista di “Indifferenti” e soprattutto il pregevole ingorgo eighties di una “Varanasi” che flirta – episodio isolato - con un’idea di indie estremamente personale e ben poco allineata. Disco da assimilare lentamente gustandolo in blocco, quasi si trattasse di una traccia unica venata da piccole sfaccettature, “La migliore età” è lavoro confortevole ed attraente, discorso compìto a bassa voce, album che irradia un’aura soffusa e gentile, emanando il tenue calore di una serata tra amici. (Manuel Maverna)