EMIAN  "Khymeia"
   (2016 )

Il secondo album degli Emian, intriso di sonorità globali, melodie accattivanti e ritmi coinvolgenti, è un viaggio folklorico nelle insenature meno esplorate di un senso popolare ancestrale e perduto col passare degli anni; a tratti rievoca fantasmi e inquietudini, a tratti abbraccia invece un senso di liberazione e festa sincero e appassionato.

Per conoscere il mondo occorre penetrare nel senso più fisico i suoi differenti aspetti, ma anche dare voce alla musica che contraddistingue un particolare luogo. Lo hanno capito gli Emian, che per cercare di semplificare il loro ultimo progetto hanno deciso di alternare brani autografi a repertori tradizionali; si susseguono momenti più rilassati e danze ipnotiche e tribali, religiosi raccoglimenti “a cappella” e colonne sonore degne di un adattamento teatrale tolkeniano. Così il globo intero si squaderna davanti ai nostri occhi, dalla Campania alla Svezia, dal Mediterraneo agli oceani nordici, con onestà e timidezza in alcuni momenti, con arabeschi ed esotismi in altri, con sicurezza e ironia in altri ancora. L’inizio incentrato prettamente sulla voce di “Tribus Hirpeis” porta l’ascoltatore in una focosa estate; poco più avanti “La Giga del Lupo” e “Rebys” lo conducono nelle terre fredde e pericolose dei sassoni, infestate da gnomi e bestie feroci. Il canto di “Rebys” – gioiello della prima parte del disco – da dolcissima ninnananna si trasforma ben presto in un incantesimo di una maga spietata, e come biglietto da visita non è affatto male.

L’arpa e i flauti sono due delle caratteristiche più emozionanti e belle dell’intero disco; sono loro in particolare a scandire il passaggio da uno stato d’animo all’altro e da una regione all’altra. E così fanno anche gli apparati percussivi. Le spirali lente di “La Cama Nupcial” contrastano con l’ossessivo ritmo di “El Viaje de Maria”, quest’ultima in bilico tra le melodie mediorentiali de “La Buona Novella” (con flauti à la PFM in “Maria Nella Bottega di un Falegname” nel celeberrimo tour insieme a Fabrizio De André di fine anni ‘70) e il divertimento estroverso di “Volta la Carta”. I contrappunti di “Nil Sé’N Là” costruiscono l’inquietante venuta di uno spirito nel sonno, e le percussioni non fanno altro che accompagnare la melodia spettrale con elementi ritmici minimi ma fondamentali nel quadro generale che ne risulta.

La voce, in tutto questo, è mezzo sia per differenziare sia per fondere insieme suono e parola: ci sono i momenti dove quest’ultima si scioglie perfettamente nella melodia, come in “Auciello Grifone”, e ci sono i momenti in cui la voce desidera essere predominante e prendersi la scena (vedasi “Mephite”). Ne “Le Due Sorelle” si ritorna in ambito italiano, grazie a una stupenda arpa che fa a gara con le voci – una voce principale che si arrampica negli angoli melodici più inaspettati, e una seconda voce dalla sottile ma preziosissima presenza – e sale fino alle soluzioni più virtuosistiche e meno immediate. Il brano segue un classico andamento da pezzo folklorico del Sud Italia, e nel suo procedere fiabesco è uno dei diamanti del disco: si tratta di un lungo inseguimento tra arpa e voce, con momenti in cui la voce è solitaria e altri in cui l’arpa si staglia sopra la voce; una battaglia di quasi otto minuti che si conclude in una sorta di armistizio, un pareggio che nel suo lungo evolvere ha portato a una pace dei sensi totale. Ci si sente quasi svuotati.

Questo viaggio geografico è anche un viaggio nella psiche di gruppo dei popoli a cui queste melodie rimandano. Dalle scogliere normanne alle praterie scozzesi, dalle campagne coltivate dell’Irpinia a certe aride distese della Danimarca. Anche i sentimenti sono mutevoli e continuamente ambigui; a tal proposito si può notare come è volubile – a tratti estremamente nevrotica, a tratti rilassante e spassosa – l’aggressiva “Owen’s Boat”, che conduce alla conclusione dell’album, e vede un violino estremamente mutevole passare da emozioni positive a momenti di disagio grigiastri, un violino che disegna, nel solco finale dell’album, una marcia trionfale verso l’accettazione di tante culture, tradizioni e credenze diverse tra loro, ma unite da una passione e un coinvolgimento strepitosi. E così spregiudicato e diretto è anche il disco stesso. (Samuele Conficoni)