BRUCE SPRINGSTEEN  "Devils & dust"
   (2005 )

C’era una volta un bambino di nome Bruce che un giorno tornò a casa da scuola, corse in cucina dalla mamma e con il naso all’ insù le chiese: ”Mamma, ma noi siamo Democratici o Repubblicani?”. La madre, che si chiamava Adele Zirilli ed era americana quanto noi, sorrise e rispose pronta :“Siamo Democratici Bruce, perchè almeno loro sono dalla parte della gente che lavora”. Una risposta materna forse non vale un’appartenenza politica, eppure basta a capire molte cose. E’ sufficiente a comprendere che la politica di Springsteen parte dall’indignazione e dalle ingiustizie, e che è la più semplice e la più autentica, al punto da risultare estranea perfino ai radical-chic di Kerry & C., finti pietosi nelle loro ville del Vermont. 'Devils And Dust' è un disco talmente umano da soffrirne, sentirlo, viverlo. E’ acustico come 'Nebraska' e 'The Ghost Of Tom Joad', ma sa anche far entare violini e batteria. Dentro c’è l’opinione di un uomo di cinquantasei anni che ha ancora il coraggio di indignarsi leggendo il giornale. Dentro ci sono l’Iraq e il Messico di frontiera, ma anche Gesù trattato come un uomo in “Jesus” (“Era solo un figlio sul Monte Calvario”), i disperati di “The Hitter” e “Matamoras Banks” e la desolazione di “Reno”. E poi c’è una canzone dedicata ad un cavallo, “Silver Palomino”, in cui Springsteen infila la più bella descrizione di sè stesso: “No corral will ever hold him”. Nessun recinto riuscirà mai a fermarlo. In fondo è pur sempre nato per correre. (Andrea Morandi)