CAPPADONIA  "Orecchie da elefante"
   (2016 )

Non si “vende” mai l’anima al Diavolo! Eppure, in qualche modo, qualcuno lo ha fatto perché sapeva di trarne solo preziosi vantaggi. Parliamo di Cappadonia, cantautore e polistrumentista siciliano che, dopo aver suonato con svariate band, ha incontrato Alessandro Alosi de Il Pan del…Diavolo che lo ha aiutato, non poco, alla realizzazione del suo debutto “Orecchie da elefante” producendo, suonando, e persino duettando con lui. E’ un lavoro che è stato concepito in due anni di sinergia, in cui sono state messe a punto correzioni vocali e un diverso modo di concepire la scrittura dei pezzi. Mettiamoci anche la presenza di un altro Diavolo come Gianluca Bartolo nella title-track e altri ospiti ed il gioco è fatto. Il titolo nasconde un significato fondamentale: quello di abbandonare quanto prima le zavorre del passato che attanagliano le nostre esistenze non appena vengono individuate, dopo affannose ricerche al limite del masochismo. D’altronde è un dotto e palese modo per evolversi ed andare avanti, senza più guardarsi alle spalle. Le liriche di Cappadonia puntano all’obiettivo di dare sempre e comunque un messaggio riflessivo sebbene, talvolta, non chiaro e diretto per non scoprire troppo le carte ma lanciare all’ascoltatore la sfida di scoprirlo. Gli arrangiamenti sono, tendenzialmente, appropriati al “mood” che si respira con la tematica. Esempio in “Good-bye” convivono la dolcezza e la rabbia di un addio tra amanti, oppure nella significativa “Lontano” dà proprio la sensazione di distanza dal mondo intero, con la doppia voce del “nostro” e Alosi in un riuscito amalgama di acustiche ed archi. Il rock-folk che permea il percorso è arricchito da incursioni “british” nella splendida “Mani di velluto”, in cui si apprezzano chitarre elettriche dal suono “slegato” e godibili e una tematica stra-interessante: quella di andare al di là del proprio naso, per osservare gli altri e le vicende con occhi diversi. Ma non tutto è oro ciò che luccica, poiché “L’invenzione migliore”, seppur “easy” e alla portata di tutti, è brano che non trasmette grandi scossoni e non si candida certamente a pilastro dell’album. Ma diamogli atto che il disco non ha alchimie e malizie studiate troppo a tavolino e si sente, in quanto la minimalità vigente nella conclusiva “Ventisei” racchiude un saggio e gran segreto: che la semplicità porta a sdoganare la tortuosità concettuale verso soluzioni più efficaci. Ed in quest’ottica, l’artista ha operato nella maniera stilistica più a lui congeniale: voce e chitarra quanto basta per un plauso sincero a questo esordio. Sappiamo che il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi: a questi ci ha pensato Cappadonia. (Max Casali)