GOD DAMN  "Everything ever"
   (2016 )

E’ un concentrato di furia belluina e strisciante violenza sonora “Everything ever”, nuovo capitolo nella giovane vita dei britannici God Damn, duo originario di Wolverhampton messosi in evidenza con un paio di ep nel 2013, ma soprattutto con “Vultures”, abrasivo album di debutto pubblicato per One Little Indian nel 2015. Benchè la coppia formata da Thom Edward (voce e chitarra) ed Ash Weaver (batteria) non si discosti un granché dalla scarna formula tipica del power-duo di nuova generazione, il sound che satura e pervade “Everything ever” si segnala per la ferina aggressività, concretizzata in tracce deflagranti di intima malevolenza: il risultato è un monolite monocorde che trabocca di stordente elettricità, lavoro nervoso e sovraesposto declinato in tredici episodi di ruvida compattezza memori della lezione degli Slaves (“Failure”), compendio di garage-punk sì allucinato e stravolto, ma non slabbrato né approssimativo. Sputando riff cingolati e urla mansoniane (la terrificante “Fake prisons”) su testi grondanti quell’innato disdain che lega John Lydon e Pete Doherty (“Oh no”), Edward e Weaver condensano in un marasma impazzito di brutalità incessante una colata di elettricità disturbata che devasta ogni timido accenno di melodia: l’approccio è indiscutibilmente albionico, un assalto irrequieto che trasuda una violenza psicotica e parossistica, evidente tanto in tracce soffocanti come “Ghost” quanto in episodi falsamente accomodanti come “Sing this”, indizi di una iconoclastia punkettara che è in primis attitudine, solo in un secondo tempo veemenza muscolare. Anche quando l’incipit pare promettere requie dal tormento, i brani finiscono per degenerare in un cul-de-sac di selvaggio fragore, distorsioni maniacali, rigurgiti gutturali (“Violence”) e cieco livore (“Let’s speak”), lasciando l’impressione generale di un lavoro crudo, torvo, efferato, negativo, limitrofo a tratti alla soglia del dolore uditivo (“It bites”), un gioco perverso che non concede spiragli di redenzione alcuna, ma che proprio in questo ininterrotto respingere trova attraente ed ubriacante magnetismo. (Manuel Maverna)