HARMONIC PILLOW "Harmonic Pillow"
(2016 )
Dopo un lungo periodo lontano dalle scene pubbliche, Anna e Alex dei Diet Kiss tornano prepotentemente a dire la loro con il progetto Harmonic Pillow, in un disco introspettivo e oscuro, dove il tema principale è il viaggio nella propria anima; un mondo onirico, pieno di paure, di ispirazioni e speranze, è lo spazio in cui si muove il gruppo: un quadro pop-rock costellato di momenti tristi e numerosi tentativi di risalita.
C’è tantissimo dell’indie-rock e del pop degli ultimi tre decenni nel disco d’esordio self-titled degli Harmonic Pillow. Le melodie dolci e sognanti che caratterizzano l’intero album risentono dell’influenza degli Youth Lagoon, delle Waxahatchee, del mood tragico e sofferente – ma al tempo stesso divertito – degli Arcade Fire. Se “Wrong” e “Mad World”, che aprono con delicatezza le porte sull’opera, sono ninnenanne semplici e oneste, che, oltre a omaggiare sapientemente e apertamente un certo gusto dream pop “made in ‘00s”, sanno emozionare, “Help Me” è una riproposizione curiosa e inaspettata delle Sleater-Kinney altezza “Dig Me Out”: un riff aggressivo di chitarra è sovrastato da una voce femminile violenta e spietata, che concede anche ulteriori paragoni, per l’andamento punk à la Bikini Kill e la sfrontatezza dei tanto sottovalutati Bush Tetras.
Il mondo onirico che i due autori cercano di ricreare nel disco – il labirinto scuro e complesso in cui hanno dichiarato di essersi persi – non è una forza negativa, ma un elemento di propulsione da cui nascono ispirazione, voglia di cambiare e bisogno di uscire all’aperto e urlare al mondo la propria voglia di vivere. L’andamento quasi shoegaze di “Marry Me” riporta l’ascoltatore in quello spazio mentale difficile da penetrare altrimenti; la melodia estremamente catchy del pezzo deve tanto agli Slowdive, e l’approccio vocale femminile rappresenta un tentativo di esplorazione degli infiniti stati d’animo dell’uomo disperso e impaurito. “Nowhere” è un episodio minore, più classico, dove il rock (di nuovo) delle Sleater-Kinney va a incrociarsi con le sonorità lo-fi dei Guided by Voices per via delle angolature grezze che presenta.
Sembra che, uscendo dai Diet Kiss, i due autori abbiano percepito il bisogno di ampliare maggiormente le loro influenze musicali, convogliandole in una mistura strana ma splendidamente riuscita. In “Ashes”, una fumosa ballata con accenni post punk, una batteria soffocante si fonde a una voce leggera e timida, dando vita a un’atmosfera quasi cosmica. “Dreamer” ci accompagna in una tormentata analisi dei nostri dubbi, mentre la veloce parentesi dark di “Lullaby” proietta il gruppo dentro a un vortice di incubi spaventosi. Anche i Cure e i Church entrano – a modo loro – tra le fonti di ispirazione. Le Sleater-Kinney, però, sono la band a cui il disco deve di più: gli intriganti gettiti chitarristici di “Transmission Punk” è una loro rivisitazione ancora più dura, che alla frenesia dei Nirvana alterna la carica contenuta delle Vivian Girls.
Il disco si chiude con una bellissima ballata lenta e convincente, “Real”, che riassume il momento altamente positivo che il gruppo sta vivendo. Il sussurrato cantabile iniziale si conclude con una lunga jam strumentale che intrappola la canzone in un labirinto di mostri e fantasmi; una discesa agli inferi che ricorda vagamente il finale epico e sublime di “Cross the Breeze” dei Sonic Youth, in quello che è probabilmente il più grande disco degli anni ’80, “Daydream Nation”. L’impressione che si ha è che il gruppo abbia centrato l’obiettivo: se il loro scopo era quello di mostrarsi nudi con le loro paure e i loro dubbi, con i loro sogni e i mondi incantati in cui cercano di rifugiarsi, ci sono riusciti perfettamente. Il singolare mix a cui hanno dato vita nel disco è la naturale conseguenza di ciò.
(Samuele Conficoni)