DEERHOOF  "The magic"
   (2016 )

Paladino da oltre vent’anni di uno sbilenco modo di intendere ed interpretare il rock, il quartetto californiano dei Deerhoof pubblica “The magic”, nuovo capitolo di una nutrita discografia oscillante tra follia, sperimentazione e rivisitazione di canoni in fragorosa veste cerebrale. Come da inveterata tradizione, “The magic” è un frullatore impazzito che trita ogni accenno di melodia, scomponendo e ricomponendo in fogge bizzarre idee pazzerelle dal taglio schizoide. Fra echi nonsense (“Kafe mania!”), schegge di funk-jazz slavato (“Model behavior”, “Debut”), impennate garage (“That ain’t no life to me”, cantata da Greg Saunier), kraut svagato à la Stereolab (“Life is suffering”), la band sciorina l’abituale prontuario compiaciuto ed autoindulgente di arte bislacca, decretando una volta ancora il trionfo effimero della forma sul contenuto. “The magic” imbastisce così il consueto pot-pourri avanguardistico di rock sfigurato, una miscela frastagliata di generi, stili e suoni che sublimano l’etica elitaria del famolo strano ma che stentano a soprendere, tantomeno – oggigiorno - a stupire, si tratti del pop imbastardito à la Dandy Warhols di “Criminals of the dream”, del bailamme crampsiano di “Dispossessor” o della fasulla innocenza di “Acceptance speech”. I vocalizzi fanciulleschi di Satomi Matsuzaki conferiscono sì all’insieme un’allure stranita e distopica, sia che interpreti al limite della sguaiatezza il surf truccato di “Plastic thrills”, sia che devasti la lancinante sassata nevrotica di “Nurse me”: ma sono trascorsi quasi trent’anni da quando i Pixies diedero fuoco alla miccia (e pure i Butthole Surfers esistevano già...) ricombinando sacro e profano, ragion per cui “The magic”, pur offrendo in ciascun brano spunti di curiosità, collassa in una inconclusa incompiutezza, coincidendo quasi esclusivamente con la costruzione ad esso sottesa. Album che non mancherà tuttavia di solleticare gli appetiti dei nostalgici di una concezione di indie-rock forse superata, ma comunque ancora viva e vegeta sotto la coltre del tempo perduto. (Manuel Maverna)