PROCLAMA  "La mia migliore utopia"
   (2016 )

Il secondo album dei Proclama – a cinque anni di distanza dall’esordio – è un omaggio alla cultura futurista del secolo scorso, riletta in chiave moderna, costruita con una precisione notevole e intrisa di chiari rimandi al rock intimo e introspettivo dei primi U2 e Coldplay.

La band continua a proporre un suono solido, aggressivo, e l’introduzione “Come in un Film”, in cui sono rievocati miti senza tempo del cinema recente (“Full Metal Jacket” di Stanley Kubrick, due spezzoni da pellicole di Woody Allen), vale come raffinato biglietto da visita. Quello che il gruppo ripercorre nei dodici brani successivi è un tuffo nella cultura futurista, chiaro già dalla scelta dei titoli. Film come espressione artistica della modernità, la sua espressione più innovativa, ma anche come falsa speranza; l’illusione dell’America come continente delle scoperte scientifiche e tecnologiche più all’avanguardia, dove chiunque può esaudire i propri sogni; instabilità e vanità sono caratteristiche imprescindibili dell’Uomo Schizoide del Vent(un)esimo Secolo. Cercare di vivere l’attimo nei modi anche più estremi e pericolosi da un lato, perdere di vista la tranquillità e la pace dei sensi dall’altro. I rischi, come i pro e i contro, sono innumerevoli. “La Mia Migliore Utopia” è questo: un mondo pieno di finzioni, in cui ciascuno di noi è il protagonista anonimo della propria esistenza, costellata da oasi celestiali che sembrano a portata di mano e che si rivelano fregature. La vera – e unica, salvifica – utopia è saper allontanarsi da questo inferno.

Musicalmente, la band sceglie un approccio diretto e tagliente per dare ai testi un’impronta ancora più espressionista e spiazzante. “Intepreti” e “America”, l’una vicina all’altra, risentono molto dell’influenza dei cantautori italiani del presente, a metà tra Max Gazzè e Francesco Renga, soprattutto per quanto riguarda il timbro della voce, con una dimensione però da rock band. Gli arrangiamenti ricordano da vicino quelli degli U2 di ''War'', e aprono melodicamente la struttura abbastanza tradizionale di queste ballate: “Instabile” ne è l’esempio migliore. La band sembra concentrarsi soprattutto sul decisamente riuscito mixaggio di strumenti, voce e batteria; le melodie sono meno curate ma riescono ugualmente nel loro intento di entrare in testa ed essere canticchiate già dopo il primo ascolto. “Ridefinendo il tempo hai scoperto il trucco che non c’è”, canta Giorgio Giardina, autore di tutte le canzoni: un’altra, maestosa verità di questo secolo e del precedente, della cultura futurista come di quella di oggi, figlia per tanti elementi dell’altra: l’ossessione di vivere al massimo, di non fermarsi mai, di non dover sprecare tempo per fermarsi a pensare.

“Vanità” è un omaggio ai Coldplay di “A Rush of Blood to the Head” e “X&Y”, mentre “Sostanza” e “Il Giorno del Giudizio” guardano ancora a Bono e compagni, senza rinunciare a qualche lezione di Interpol nei giri di basso e nelle cascate di note delle chitarre. “Indelebile” è una ballata degna di Chris Martin, ed evita sapientemente il rischio di cadere nel plagio grazie ad una linea melodica originale e un andamento decadente. Forse vorremmo che la voce di Giardina fosse meno renghiana e si sforzasse di essere più rauca, ruvida, come le chitarre che le stanno intorno. La traccia che dà il titolo al disco è una delle cose migliori dell’album: un piccolo gioiello pop tanto semplice quanto sincero. Verso il finale c’è spazio per uno dei brani più interessanti, una “Respirare” colma di piccoli elementi mutuati dagli Smashing Pumpkins, esperimento davvero notevole. Da notare anche la curiosa cover di “L’Essenziale” di Marco Mengoni, apparentemente fuori contesto, ma che nell’ascolto integrale del disco assume il suo significato preciso. Il disco procede con esperienza, dimostrando che il gruppo è affiatato e pieno di idee. Non brilla per originalità, ma non delude in nessuno dei suoi brani, anche perché sono tutti frutto di un’attenta e cosciente composizione, dove la musica non è mai staccata dalle parole, sempre profonde e ragionate.

(Samuele Conficoni)