MIKE OLDFIELD "Incantations"
(1978 )
Questo arrivò davvero fuori tempo. Si era nel periodo in cui, specie in Inghilterra, il punk imperversava, e Mike Oldfield era uno di quelli (ma lo erano anche i Pink Floyd, per intenderci) che era nel mirino delle nuove leve. Basta con le megaopere costosissime, basta con il prog-rock, basta con i faraonici concerti con diecimila orchestrali: ora bastava una chitarra scordata, un qualche spillone da infilarsi da qualche parte, e due o tre rutti da urlare davanti ad un microfono. Ecco, cosa ci stava a dire Oldfield in un mondo come questo? Poco o niente, ma lui dopo i successi iniziali aveva cambiato atteggiamento verso l’esistenza, aveva fatto terapie psicanalitiche, si era sposato per qualche settimana, e quindi sapeva come rispondere, almeno a parole, a chi lo accusava di essere più “Old” che non “Field”. Come? Specificando che la rabbia dei punk, la voglia di rinnovamento, era poi la stessa che aveva avuto lui, cinque anni prima, mettendosi a suonare da solo, o quasi, tutta la faccenda diventata poi famosa come “Tubular bells”. Poi chiaro, si doveva anche andare a mettere sul piatto qualcosa, e il doppio “Incantations” non era poi la cosa migliore da far digerire al popolo di fine anni ’70. Immagine rinnovata, meno hippie e più attuale, e musica che restava poi la sua, facilmente riconoscibile ma non del tutto appetibile per chi non facesse parte del suo gruppo di fans. Avrebbe presto cambiato direzione, guardando agli anni ’80 in maniera diversa, e capendo dopo qualche tentativo come fare per essere non solo venduto – certe sue cose andavano via quasi per inerzia – ma anche popolare. (Enrico Faggiano)