A VIOLET PINE  "Turtles"
   (2016 )

Idealmente avvolti in una nube sulfurea che ne ammanta il suono di ossianica ieraticità, a due anni dal precedente “Girl” il trio A Violet Pine pubblica su etichetta T.a. Rock Records “Turtles”, nove tracce in cui convivono languori wave ed echi spettrali, disco gentile solo screziato da stratificate suggestioni elettriche, figlio di un’anima oscura e goticheggiante, di rigurgiti electro (“Bright”, dalla scrittura intensa ed avvolgente), di inserti rumoristici disseminati ad arte (la saturazione in crescendo dell’iniziale “The game”). Disco elegante incupito da una patina di tetraggine mai opprimente – echi degli ultimi Lycia sono udibili ovunque -, contrappuntato da iniezioni di contemporaneità che lo avvicinano da un lato alle digressioni dilatate dei Cure (ad esempio nella sfuggente melanconia della pregevole ballata dimessa di “Why?”, impreziosita da un delizioso dialogo tra pianoforte e modulazione effettata di chitarra), dall’altro alle nebbie sciamaniche dei Fields Of The Nephilim, innervando di una sottile mestizia brani squadrati da una ritmica metronomica e resi traslucidi dall’ampiezza delle armonie, “Turtles” dispensa abilmente tonalità minori ed incedere cadenzato, fra mid-tempo à la Mission (“Lucky when I’m wrong”), melodie crepuscolari (“Last year”, fra Low e Church, ma con chiusura elettrica degna dei fratelli Reid) e variazioni minimali apportate al tema (bello il ricamo percussivo sul finale di “The moon has been turned off”). Lavoro intrigante sotto molteplici aspetti, non ultimo il timbro profondo di Giuseppe Procida, efficace sia in spoglia nudità sia celato da coltri strumentali, “Turtles” presenta una band la cui cifra stilistica potrebbe risultare forse ulteriormente accresciuta da una maggiore varietà di scrittura, tale da stemperare un andamento dei brani talora tendente al monocorde. In rapporto alla qualità dell’album, decisamente un’inezia. (Manuel Maverna)