VERDENA  "Endkadenz vol.2"
   (2015 )

Nel mezzo del cammino, attorno al complesso, controverso ingorgo di “Requiem”, sembrava improbabile che i Verdena potessero davvero cambiare, addirittura impensabile che riuscissero ad evolversi distaccandosi da quell’aura altezzosa, fieramente ostentata, di spocchiosa alterigia. Intendiamoci: evolversi negli intenti più che nel suono, assumendo differente inclinazione al cospetto di un pubblico rimasto folto e fedele oltre ogni virata, pure alla mercé delle molte stravaganze fronteggiate in sedici anni di tortuose deviazioni del trio bergamasco. “Endkadenz Vol.2”, pubblicato a sette mesi di distanza dal Vol.1, è disco ambivalente che si offre a molteplici interpretazioni senza che, nemmeno ora, del mistero-Verdena, indovinello privo di soluzione, si venga a capo; palese come i due capitoli rappresentino altrettante facce della stessa medaglia, entrambi espressione del tentativo – legittimo e scoperto, specie all’indomani del Moloch “Wow” – di trovare un modo semplice per uscirne; altrettanto evidente come non sempre la discesa a patti con il mainstream si adatti comunque all’indole di una band che nasce off godendo dell’esserlo. In bilico tra la riproposizione mascherata di stilemi che cristallizzano una inimitabile peculiarità ed una timida, benché fiduciosa, apertura a nuove, provvidenziali diversioni dalla strada maestra, “Endkadenz Vol.2” sciorina un campionario di idee avviluppate intorno ad una concezione di indie addomesticato, mai realmente godibile in toto, sempre intelligente nel suo dichiarato rifuggire l’ovvietà. Più stream of consciousness che discorso articolato, “Endkadenz Vol.2” rischia talora la dispersione, ma quando focalizza lo sguardo sa dispensare schegge di autentica poesia rovesciata all’insegna dell’abituale ermetismo testuale, qui asservito ad una musicalità più chiara e definita che in passato. Anche laddove le asperità non vengono smussate (“Colle immane”, “Fuoco amico I”, la bordata garage slabbrata ad arte di “Caleido”), il trio rinasce rasserenato, scivolando con apparente semplicità dalla sassata in minore dell’opener “Cannibale” (i primi Muse, potenti ed estatici) al reggae fasullo di “Un blu sincero”, dal pop 60’s di “Identikid” alla ballad agonizzante di “Nera visione”, in un percorso che lambisce Jon Spencer (il blues sporco di “Fuoco amico II”, chiuso in un sabba percussivo di tribalismo disturbato) ed echi prog (“Lady Hollywood”), infrequenti digressioni sperimentali (lo sketch traballante di “Dymo”) e sporadiche discese a spirale in territori oscuri ancora da sondare (la marziale cadenza funerea di “Natale con Ozzy”). Spiazza e disorienta la mancanza di un collante – di qualsiasi natura esso sia - capace di mutare una raccolta di canzoni in un album coeso, così come soprende l’impalpabile velo di incompiutezza steso su queste variegate composizioni, lasciate spesso fluttuare in code free avulse dal contesto (à la Modest Mouse degli albori); ma ciò che conforta – ed era già apparso chiaro nel Vol.1 – è che i ragazzi abbiano un Piano B, e che stiano forse preparandosi per la definitiva fuga da sé stessi. “Endkadenz Vol.2” è lavoro che diviene testimonianza esplicita della volontà di affrancarsi da uno stereotipo, di uscire dal personaggio, di essere un po’ meno Verdena: se ciò sia bene o male, è un altro indovinello che risposta non avrà. (Manuel Maverna)