ANTONIO PASCUZZO "Pascouche"
(2015 )
“Pascouche” è il titolo del primo disco da solista di Antonio Pascuzzo, dopo le precedenti produzioni dei Rossoantico (finalista Tenco 2011) e le altre numerosissime collaborazioni. Il titolo scaturisce, ovviamente, della presenza di influenze “manouche” nell’arrangiamento di alcuni brani, dalla presenza tra gli ospiti dello straordinario chitarrista Angelo Debarre (considerato l’erede di Django Reinhart), ma anche dalla sintesi dello spirito che attraversa il progetto. Un viaggio a tappe alla ricerca di vecchi e nuovi compagni dai quali Pascuzzo riceve in dono i colori della musica: il fado, il calypso, la musica cubana, quella da camera, i suoni balcanici, lo swing, il blues, il rock, il manouche appunto. Tanti straordinari ospiti, che non hanno semplicemente prestato una traccia alla canzone, ma ne hanno offerto una lettura, hanno dato una mano e le loro mani, per la realizzazione del progetto, e in qualche caso ne hanno concepito l’arrangiamento: non solo Angelo Debarre, ma i Solis String Quartet, Francesco Forni e Ilaria Graziano, i Sinfonico Honolulu, i Rossoantico, Pericle Odierna, Giorgio Secco e Adriana Ester Gallo, Marco Rinalduzzi e tanti musicisti e amici che hanno condiviso una parte del percorso che ha portato all’album. Questo album è frutto dei viaggi non solo virtuali, degli straordinari incontri e collaborazioni che Pascuzzo ha compiuto in questi anni: per il suo valore artistico e culturale il progetto è entrato nel prestigioso catalogo dell’etichetta Parco della Musica Record, notoriamente riservata ai grandi maestri del jazz. Sono 14 i brani che compongono “PASCOUCHE”. L’album si apre con il ritmo vertiginoso di “Alta felicità”, innescato dall’assolo di Angelo Debarre. Il brano rilegge l’annosa vicenda dei NO TAV mettendo in antitesi velocità e felicità: “…a cosa serve un treno supersonico?”. Preziosi i cori di Ilaria Graziano e Francesco Forni. Il secondo brano dell’album è “Fado del Partigiano”, dove il fado è una scelta di lettura e ambientazione del tema; il ritmo incalzante le immagini struggenti, le mille offese ad una “Carta fatta a brandelli”, nella canzone dedicata alla Costituzione, fiore del partigiano. Le corde del Fado per l’occasione sono del fadista Marco Poeta, ospite del disco. Ci sono canzoni che nascono da un’immagine: è il caso della terza traccia, “Un bacio”, ispirata al bacio di 2 atlete russe che protestano contro le leggi omofobe di Putin; cosi come loro hanno risposto all’oscurantismo con la bellezza, anche il brano si scoglie nel Calypso contagioso dei 13 ukulele dei Sinfonico Honolulu. L’ambientazione “cameristica”, il ritmo di un’incalzante taranta irrompe con i Solis String Quartet, ospiti e arrangiatori di “Meglio Solis”, nel segno di una duratura amicizia e collaborazione Tocca poi a “La rabbia”: tra Pascuzzo e i 4 virtuosi campani, al punto che l’omaggio è anche nel titolo, una canzone che parla della “solitudine per colpa”. La quinta traccia è “Lulù”, un brano che tratta la violenza sulle donne; una donna, simbolo di forza e bellezza, contrastata da uomini dall’identità debole e violenta. Le corde di archi e chitarre (Adriana Ester Gallo agli archi, Giorgio Secco alla chitarra e Marco Poeta alla chitarra portoghese) accompagnano i personaggi della storia come nel teatro dei pupi. Tocca poi a “Il fucile e la matita”: disegnare, recitare, cantare quando non si può tacere. “L’età dell’innocenza” tratta invece dei diversi modi di essere giovani, in questa epoca in cui l’innocenza è il nuovo frutto proibito che regala l’immortalità: i vecchi la rubano ai giovani a costo della vita… dei giovani. Un dinamico esercizio di autoanalisi in cui l’allegria del brano nasce dalla consapevolezza che l’autolesionismo, che alberga dentro di noi, si manifesta nella rabbia che esprimiamo verso l’esterno. “Le berte” è cantato a due voci con Francesco Forni che ha co-arrangiato l’album; un brano che racconta di viaggi della speranza dagli esiti disperati, quando abbracciarsi nell’abisso è l’unica alternativa al mare e al male, mentre intorno cantano le berte, uccelli stanziali nel canale di Sicilia. Dopo la felice esperienza del progetto Rossoantico, i live con la Kocani Orkestra, l’apertura del concerto di Goran Bregovic, l’album ed il suo viaggio, non poteva mancare un passaggio spumeggiante alla musica Balkanika: il brano “Rivoluzione” è arrangiato da Pericle Odierna ed eseguito con i “Rossoantico”. Le effimere speranze delle primavere arabe, le barricate dei rivoluzionari d’occidente fatte coi mobili degli altri, niente è come sembra, nemmeno le rivoluzioni. “Calabrisella” è invece una canzone nel dialetto natio; l’efferato supplizio di Fabiana Luzi è il punto di partenza di un’analisi spietata e appassionata, che smaschera un “machismo” che si annida nei risvolti linguistici di un dialetto che non conosce il futuro e che descrive la nascita di una femmina con il proverbio ''A figghia fimmina e a mala nottata''. “I musicisti della città di brama” è un “divertissement” Rock vagamente autoironico sul destino da musicista, affidato all’arrangiamento di Marco Rinalduzzi: un’invettiva contro i vizi di una categoria, sempre di più ridotta al rango di giullari e mendicanti, affannati alla ricerca di spazi di visibilità. Essi, al contrario dei musicanti di Brema che scappano a Brema per vivere senza padrone e si compattano per apparire più forti, vivono a “Brama”, ove l’individualismo li rende piccoli e indifesi in balia finanche dei camerieri del catering. “La forchetta e la puntina” è una mini traccia che cerca in un minuto di dare una risposta all’annoso quesito: “la cultura fa mangiare?”. “Stella cadente” è invece un valzer dolce e dondolante sui rapporti alterati dalle percezioni e dalle cattive compagnie, in cui la chitarra di Debarre è ancora protagonista. La scelte artistiche e il percorso sono stati condivisi con Francesco Forni, eccellente cantautore e musicista, in questo caso ispirato e attento produttore-arrangiatore di molti brani.