MAYA GALATTICI  "Exogen tantra"
   (2015 )

In tempi di futuribile ibridazione musicale, anche le categorizzazioni in apparenza più rigide - dal rap al metal - sembrano perdere la propria impermeabilità al cambiamento, piegandosi a logiche ed esigenze di ventura, nonché all’inevitabile mutamento meticcio che l’era multimediale porta con sé. Saltuariamente, qualche folle laudator temporis acti emerge dal branco col suo campionario di materiale old-style solo timidamente risciacquato in una modernità di facciata: a questa residuale, eroica categoria, appartiene il nostalgico trio – di recente mutato in quartetto nei live - dei Maya Galattici, band di origini venete eccellente per intenti programmatici, coerenza stilistica, pulizia di esecuzione e spessore artistico. Le dieci tracce che compongono “Exogen tantra”, secondo album dopo l’esordio di “Analogic signals from the sun” (2011), rimangono fedeli ad una psichedelia mutuata dai tardi Sessanta, qui riproposta con sonorità d’antan figlie ostinate di una accurata ricerca di tessiture mai revivalistiche, al più classificabili come una reprise elegantemente vintage di una musicalità che fonde indole retrospettiva e lisergica visionarietà con passionale sfoggio di attitudine ed equilibrata intelligenza compositiva. In un disco efficace, conciso e fruibile, il cui unico limite potrebbe forse essere rappresentato da una certa monocromia di fondo che rischia talora di placarne gli ardori, la band inanella con scioltezza da veterani aperture pinkfloydiane (“Where my mind goes when I sleep”) e schegge garage (”Alligator”), accenni beatlesiani e suggestioni progressive, giungendo addirittura a lambire atmosfere à la Blur nel bislacco funk laid-back di “In the morning”, prima che il surf assassino di “Listening to the radio” li proietti perfino in una inattesa – e gradita - area mainstream. Divertendosi senza mai strafare, la band gigioneggia sull’aria Daft Punk di “I kill the machine”, aumenta i giri, svecchia l’atmosfera e cambia rotta nell’accoppiata à la Belle and Sebastian di “Mother’s blues” e “While the day explodes in the summer sunshine”, chiude sull’aria rarefatta della strumentale “Stereonauts instrumental track”, sempre conservando intatta un’umiltà tanto più encomiabile quanto più foriera di brani diretti, sinceri ed ispirati nella loro ben congegnata, produttiva semplicità. (Manuel Maverna)