MUSE  "Showbiz"
   (1999 )

L’esordio dei Muse è probabilmente il loro lavoro migliore. Un disco che dava forma alla mediocrità dei giovani del XXI secolo; a metà tra pop da classifica ed episodi che vanno a ripescare nel passato per proiettarsi in un futuro improbabile, ma fortemente voluto. L’esempio eclatante è “Sunborn”-“Muscle Museum”, un’accoppiata perfetta; la prima è una sorta di progressive moderno rivisto in chiave emo-pop; la seconda una filastrocca medievale scandita da chitarre in crescendo. Il caos di “Fillip” è fin troppo ordinario; il sogno accarezzato di vedere nascere una nuova corrente progressive svanisce nelle melodie Britpop come “Sober” ed “Escape” che riescono comunque a distinguersi dagli standard del genere per la marcata vena elettrica-catartica. Tra queste svettano “Falling Down”, che ricorda molto Jeff Buckley, e “Unintended”, forse la loro migliore prova acustica, dal vago sapore depresso. Quando poi i Muse ci propinano un rock anni novanta il risultato è quanto meno irrisolto. “Cave”e “Showbiz” sono brani orecchiabili, ma non colpiscono a fondo l’ascoltatore, nemmeno nei momenti più esplosivi. Un tocco di originalità arriva con “Uno”, ballata elettrica ricca di slanci emotivi, e “Overdue”, schizofrenico collage di tutto ciò che il gruppo conosca. Il finale è lasciato a “Hate This And I’ll Love You”, suadente viaggio nella notte, che lascia l’amaro in bocca per ciò che questa band poteva fare ed invece non ha fatto. “Showbiz” è un disco pop-rock sopra la media che lascia intravedere potenzialità ben superiori. Alcuni episodi sono sensazionali, altri meno, ma nel complesso ci troviamo davanti ad un lavoro più che sufficiente. Sembra che i tre, intuita la propria strada di rinnovatori della musica progressiva, si siano sentiti all’improvviso non all’altezza e abbiano ripiegato verso lidi più sicuri e commercialmente più produttivi. (Fabio Busi)