VAMPIRE WEEKEND "Vampire Weekend"
(2008 )
Paladini del revival o fieri restauratori, con il colpo di genio di chi ha scoperto l’acqua calda, i Vampire Weekend da New York City si inventarono nel 2006 un abbacinante futuro da star del retro-pop, impastando melodie d’antan tra Elvis Costello e gli XTC con una buona dose di smaccata sfacciataggine e fortissime ascendenze etniche di spiccata matrice afro.
Due anni più tardi, a mezza via tra il Paul Simon di “Graceland” ed i Beach Boys di “Pet sounds”, il quartetto sciorina vezzi tropicalisti e tribalismi assortiti con indole rilassata ed una naturale inclinazione al guizzo melodico, vergando un debutto che riluce di scintillante immediatezza. Rigonfio di ganci-killer e chorus contagiosi stipati negli angusti ed essenziali trentaquattro minuti complessivi che lo incorniciano, l’album affida il climax di questi undici brani concisamente incisivi più alle dinamiche che agli arrangiamenti o alla scrittura in sé, inscenando una pièce leggera e disimpegnata che con disarmante nonchalance cesella armonie anticate ad arte.
La patina demodé che riveste ogni traccia (splendida la trasognata aria vieux-temps che chiude il disco sulle note di “The kids don’t stand a chance”) è in realtà stesa con metodo e misura, tra un bridge accattivante e un trucchetto ritmico, un contrappunto inatteso ed un coretto bubblegum, il tutto condensato in composizioni tanto stringate quanto appaganti nella loro sapida freschezza.
Canzonette scherzose ed intriganti si susseguono al proscenio come altrettanti sketch d’avanspettacolo, tra l’incalzare divertito ed insistente di “Mansard roof” e la bachata sghemba di “Oxford comma”, lo ska fulminante di “A-punk” ed il rondò barocco di “M79”, capace di digradare improvvisa in un reggae sbilenco; ma c’è spazio anche per il controtempo ostinato di “Campus” e per l’accenno di twist di “Walcott”, per il percussionismo martellante di “Cape Cod Kwassa Kwassa” e per il pianoforte r’n’r di “I stand corrected”, in un caleidoscopio di suoni ed atmosfere plastiche che sembrano rimandare ad un tempo lontano e felice, ad un altrove a tinte pastello sospeso tra memoria e fantasia, ad un quadro naif di vivida bellezza. (Manuel Maverna)