DECABOX "#Dissocialnetwork"
(2014 )
A tre anni di distanza da “L’Uomo Biodegradabile”, il gruppo milanese dei Decabox torna con un album di critica sociale neanche troppo celata. Il titolo, da questo punto di vista, pare eloquente, ed effettivamente ad aprire “#Dissocialnetwork” c’è “Fingere che tutto sia”, una ballata rock che racconta l’inerzia dell’uomo moderno, e che risulta essere imprescindibile dal videoclip, nel quale un ragazzo instaura un rapporto piuttosto complicato con una giovane in seguito a una ricerca su Facebook. Con “Apnea” l’album tocca uno dei suoi punti più alti, sul piano della scrittura (“Mi dite voi – non è tutto nero, stai sereno! – quando, poi, ci succhiate via il midollo ed il pensiero”) e non solo, incarnando un po’ quella voglia di denuncia di un mondo in cui, troppo spesso, si valica il confine tra mondo reale e virtuale, quel mondo in cui l’uso perverso dei social ci rende, paradossalmente, più asociali, in cui uno sguardo è meno importante di un “like”. Rimane alto il livello con “Tutto e niente”: un’esplosione di grinta che sembra rimandare un po’ ai Queens of The Stone Age, soprattutto nel ritmo martellante che la suggella. I tre brani successivi (“Punto e basta”, “Carta stagnola” e “Il nome mio”) sottolineano l’eclettismo del frontman Davide Rivetta, detto “Rive”. Altro passaggio degno di una menzione speciale è “L’autografo del mostro”, probabilmente cavallo di battaglia di un album che riesce a conciliare rock e melodia, testi pungenti e incazzati (“Negare l’evidenza fa male, ambire all’ignoranza conviene”) a sottili venature più pop e qualche sporadico intermezzo elettronico, il tutto in un mix che riflette, in alcuni momenti, il fatto che i maggiori ispiratori, oltre alla band di Joshua Homme, siano i Foo Fighters, come ha confessato lo stesso Rive. Con “La verità”, i Decabox propongono una digressione elettronica ben riuscita, tornando immediatamente a marcare il loro territorio con “A-Distorta”, il cui videoclip (in barba al titolo dell'album!) è stato registrato con un’iniziativa decisamente social, grazie al contributo dei fan, ai quali spettava il compito di urlare (non a caso, il termine ricorre frequentemente nel brano) in brevissimi video che poi hanno composto quello ufficiale della band. Un po’ malinconica – ma sicuramente azzeccata, dati anche i temi trattati – la conclusione del disco, con “Fammi fare un giro nella tua testa”, che parla della necessità e del desiderio di saper capire gli altri mettendosi nei loro panni, e “Tempo fa”, nella quale spiccano gli acuti di Rive, mattatore di una band che si conferma parecchio interessante. (Piergiuseppe Lippolis)