CALIFONE "Stitches"
(2013 )
I Califone provengono da Chicago, hanno a curriculum una discografia di 11 bellissimi album, e possono essere considerati una tra le più importanti band indie attive al momento. Il nome della band deriva da quello dell’azienda Califone International, fabbricatrice di attrezzatura audio comunemente diffusa nelle scuole, librerie e aziende americane. La band è composta da Joe Adamik (batteria), Jim Becker (banjo, violino), Ben Massarella (percussioni) e Tim Rutili (voce, chitarra, tastiera). La band nasce dalle ceneri dei Red Red Meat, band in cui militava il cantante Tim Rutili, e in breve tempo diventa una tra le realtà più in vista sulla scena musicale di Chicago. La musica dei Califone è una combinazione tra il rock-blues dei Red Red Meat, la tradizione folk, pop a stelle e striscie e il suono di band elettroniche come Psychic TV rielaborate a riprodurre un suono distintivo e originale. In questi lunghi quindici anni di carriera la band ha sempre lavorato nell’underground, magari senza mai toccare le cime e gli interessi massimi di pubblico, ma ha sempre e comunque prodotto bella musica, e ora, arrivata al quindicesimo disco, la formazione di Chicago ci regala un album davvero bello, “Stitches”, non la consueta carrellata di ballatone al flavour del traditional, ma una leggera incurvata che sì, prende spunto dai Gastro Del Sol o più in disparte dai Wilco, ma introduce accenti elettronici e virgole pop come a festeggiare l’avvenuta multi-maturità. E con loro una nutrita filangerie di ospiti, da Eric Heywood dei Son Volt a Rob Doran dei Pit Er Pat e via dicendo, un insieme altolocato di musicisti e anime sante che danno vita ad una ubriacatura dolciastra e a suo modo elegante di dieci tracce, tracce che il leader della band Tim Rutili definisce – senza tanti giri di parole – la cosa più bella che il suo cuore abbia mai disegnato nelle sue poetiche splendide. In effetti, senza mai un accenno che possa sancire un qualcosa minimamente tralasciato, il disco scorre agile e morbido, sensazioni e melodie vellutate mai invadenti, piuttosto un sottofondo continuo di chitarre slidate, pianoforti di rimando, occhiate field e tutta quella atmosferica e sognante “americana” che passa negli orecchi come una delicata pioggia dopo un lungo periodo di secca. Anche se le cose poi non sono mai semplici, le malìe ed i misteri della vita oltremodo ci possono allontanare dagli scopi principali tratteggiati, la musica dei Califone ha il potere di alleviarne e smussarne le spigolosità, e di favorire quella stupenda interpretazione intima di arie fini e spiriti risollevati, pronti a scattare d’amore in avanti, ancora in avanti, e brani come gli orizzonti increspati della titletrack, il vento stizzoso “Frosted tips”, la pastorale corale “Bells break arms”, o il touch & go che vibra in “We are a payphone”, danno la netta visione che i ranghi dell’oltre musica sono sempre attenti a risvegliarsi negli attimi giusti, veri. Le evanescenze amniotiche di “Turtle eggs/An Optimist” danno fine a questo nuovo lavoro dei Califone, una band dalle immense dimensioni e, per chi ascolta, un beneficio interiore non indifferente.