PAULA FRAZER  "A place where I know"
   (2003 )

Paula Frazer è un’affascinante e talentuosa cantautrice dotata di una invidiabile tecnica di canto che ne fa una vocalist d’eccellenza. Attiva da quasi vent’anni sia come solista che in gruppo (Tarnation), propone una suadente e personalissima declinazione di quel verbo alt-country da un paio di lustri assurto a nuova – o vecchia? – gloria grazie ad una serie di esponenti di rilievo. L’operazione, in questo senso, sa di già visto, ma ha avuto il merito di attualizzare un enorme corpus musicale basato sulla rivisitazione dell’espressività dei grandi songwriters d’oltreoceano in chiave contemporanea, avvicinando sia il folk rurale (Woody Guthrie) sia il country & western (Johnny Cash), sia il folk-rock elettrico (Dylan dal ’67 in avanti, Petty, Mellencamp) al rock propriamente inteso, in larga parte contribuendo a sdoganare alcuni generi rimasti ancorati per decenni ad un'audience limitata, anche territorialmente. La bella Paula fa un ulteriore passo avanti (o di lato?), infondendo nelle sue tristi composizioni un’aura goticheggiante che le ammanta sinistramente e tracciando una cupa fantasmagoria trafitta da un canto che sa essere al contempo dolce e lamentoso. E’ una sorta di gothic-alt-country (tra gli esponenti di spicco vanni citati almeno The Handsome Family) che permea di tetra malinconia queste dodici tracce lo-fi, registrate dalla Frazer tra il 1992 ed il 2002 su un 4 piste tra le mura domestiche. Con voce melliflua e sensuale Paula pennella tracce proposte qui nella loro versione primitiva e scarnificata, come diapositive virate seppia retaggio di un’epoca lontana. Sembra di ascoltare dei demo-tape senza profondità, eppure ciascuna delle canzoni possiede una propria intima maestosità celata dietro la rozzezza della tecnica di realizzazione, quasi il fruscio di fondo facesse realmente parte della scrittura del brano. Sono spettri inquieti quelli che aleggiano furtivi nella bella melodia di “The only one” o che scuotono i rumori di fondo di “Idly”, la nervosa “Halfway to madness” e la fosca title-track, spettri che non si placano mai e continuano incessanti a sussurrare soffi moribondi grazie alla loro medium, la voce angelica e tormentata di un’interprete deliziosamente angosciante. (Manuel Maverna)