RAMMSTEIN "Mutter"
(2001 )
I tedeschi Rammstein calcano le scene dal lontano 1994, anno nel quale si presentarono sul mercato forti di un’immagine intimamente sporca, di un sound brutale (ma a suo modo levigato, un po’ come Manson, che non a caso nel 1994 licenziava “Antichrist superstar”) e di una lingua – il tedesco, appunto - che ben si sposava a questo trucido connubio corroborandolo con la durezza squadrata e marziale del canto. Niente di sconvolgente e soprattutto niente di nuovo, ma se non altro l’impeto belluino e la sinistra pantomima inscenati dal sestetto contribuirono al raggiungimento di una fama ancora oggi ben consolidata soprattutto in ambito europeo (particolarmente nell’Europa del nord). L’inconsistenza artistica del progetto è palese, come altrettanto evidente è l’enfasi posta sui suoni e sul look: i Rammstein sono un prodotto creato ad arte, a modo loro un prodotto di mercato ben riuscito, ma pur sempre una mascherata, quasi una versione più fumettara di Marilyn Manson. Se Manson si pone come la personificazione dell’anticristo, i Rammstein sono la parodia di questo spettacolo tetro e malsano. E allora via con una carrellata di chitarrone che propellono riff iperdistorti suonati sulle corde basse, quasi dei Korn, ma molto più semplici e regolari: dei Korn manca l’introversione malata, mentre i Rammstein accentuano, con taglio ugualmente maniacale, gli aspetti più grandguignoleschi di un nu-metal dalle tinte gotiche (“Zwitter” sembra arrivare dalla bocca degli inferi, ad un passo dai Sisters of Mercy). E’ un metal titanico che procede talvolta con impeto wagneriano (le aperture tastieristiche di “Sonne”), un metal iperprodotto, impossibile da disgiungere dalla sua componente scenografica, un metal che sfuma il confine tra reale attitudine e macabro intrattenimento. Tutto è eccessivo, pompato, fasullo: una musica stereotipata che veicola tuttavia una sorta di lasciva, morbosa, esplicita malvagità, richiamando un approccio intimamente violento e negativo; e – sia detto a chiare lettere – un disco che si lascia ascoltare senza fatica, riuscendo addirittura a piacere, tra le mitragliate incendiarie di “Feuer frei!” e “Adios”, entrambe lanciate a velocità folle come treni in corsa, il riff cingolato di “Mein herz brennt” ed i lentacci cadenzati di “Mutter” e “Nebel”. Disco pacchiano, ma tutt’altro che disprezzabile, un po’ un Rocky Horror Picture Show in salsa teutonica, destinato ad un pubblico parimenti en travesti: amare i Rammstein è un po’ come preferire uno show di drag-queen alle ballerine del Moulin Rouge, ma i gusti son gusti. (Manuel Maverna)