THREE MILE PILOT  "The chief assassin to the sinister"
   (1994 )

Californiani provenienti da San Diego, i Three Mile Pilot di Pall Jenkins, dapprima vocalist e bassista, indi chitarrista a causa della difficoltà di conciliare canto e partiture dello strumento, hanno cercato con i due album iniziali – prima di virare verso un approccio più pacato e di varare il fortunato e prolifico side-project Black Heart Procession - di superare gli stilemi del post-rock grazie ad un accostamento obliquo e trasversale alla materia. La voce di Jenkins – sgraziata e tendenzialmente monocorde - ricorda un incrocio tra Guy Picciotto dei Fugazi e Page Hamilton degli Helmet: è una voce sgolata che pare provenire dall’aldilà, come se Jenkins stazionasse a qualche metro dal microfono in una stanza vuota, una voce capace di impennate improvvise come di repentine discese in territori talora indefinibili (la title track sembra un numero di teatro espressionista, uno sketch tanto stralunato quanto strampalato e spiazzante), contribuendo a disegnare atmosfere sinistramente inquietanti ed emotivamente sospese grazie ad un modo insolito di comporre. Tecnicamente la band non è affatto straordinaria, come dimostrano sia la sostanziale povertà di inserti solistici, sia l’andamento piuttosto lineare dei brani, nei quali le eventuali variazioni sono sempre ripetute con scansioni precise e successioni altrettanto schematiche (“Shang vs. Hanger”); tuttavia, l’impressione generale è bizzarramente complessa, ed in ciò risiede forse la principale peculiarità di Jenkins come autore. I brani suonano quasi sempre piuttosto sgradevoli, imperniati sì su dissonanze tipiche di certo post-rock di inevitabile matrice Slint (“97-MT”, “X-miner”), ma privi delle complicazioni concettuali che contraddistinguono il genere. Si tratta di composizioni che fluiscono ingannevoli per lievitare in maniera subdola (emblematici gli otto minuti di “Aqua-magnetic”, col basso suonato ad accordi), rinunciando alle palesi deflagrazioni di Albini o dei Jesus Lizard, privilegiando altresì uno sviluppo che rimane per larga parte psicologico, quasi simulato (l’intuizione che rese a suo modo seminale “Spiderland”): più idea di rock che rock vero e proprio, la musica dei Three Mile Pilot, aggrovigliata attorno a liriche criptiche che dipanano temi sci-fi, raggiunge il climax percorrendo strade tortuose, parlando un linguaggio fastidiosamente singhiozzante, agonizzando balbettante a breve distanza dalla sperimentazione avanguardistica. In un assortimento solo apparentemente sconclusionato di piccoli rumori di fondo, interferenze, microdistorsioni, dilatazioni impercettibili e scordature disseminate con cura, il trio allestisce la rappresentazione di un’arte ibrida e cerebrale che si situa lontanissima dalla musica di intrattenimento, un vortice di suoni privi di un centro, un universo parallelo in continua, lenta espansione. (Manuel Maverna)