LOU REED  "Transformer"
   (1973 )

Come la letteratura anche la musica ha chi sublima il vizio sottraendolo al giudizio della morale corrente. Il Baudelaire in versione pop rock si chiama Lou Reed, un maestro di vita per Bowie. Lui aveva cominciato con un altro tipo di musica, quello newyorchese di quel periodo, pagando dazio, in parte, anche a Bob Dylan. Era il 1966 e lavorava con i Velvet Undergroud. Ora lancia uno dei suoi più famosi lavori solistici, TRANSFORMER, con una musica di eccellente livello. Tanto eccellente da far accettare a tutti i suoi discorsi d'esaltazione della droga e dell'omosessualità. Un'ambivalenza sessuale messa in mostra da molti, in questo periodo. Valevole soprattutto per vincere il titolo mondiale per l'esibizionismo più sfrenato. Da Bolan a Lou Reed senza dimenticare i Roxy Music, è tutta una gara a chi trasgredisce di più. Il numero delle star argentate, laccate ed ambigue avrà il suo clou con i Silver Head (nuovi astri 1973) che della volgarità e dell'aggressività faranno i loro principali cavalli di battaglia. Tornando a Lou Reed, l'album è prodotto dallo stesso David Bowie, che in passato aveva avuto una relazione con lui. Lou Reed aveva conosciuto Bowie a New York ed aveva compreso che quel giovane efebico era nient'altro che la proiezione romantica di lui stesso e dei Velvet Underground. Bowie, d'altronde, non nascondeva l'influenza che aveva ricevuto dall'ex gruppo di Reed e durante la tournèe americana la manifestava palesemente cantando brani del repertorio dei primi Velvet. Oltretutto aveva dedicato proprio a Lou Reed uno dei brani più travolgenti di HUNKY DORY, QUEEN BITCH. Ora eccolo in veste di produttore-ammiratore. E la RCA Italiana pubblica il singolo sicuramente più famoso di questo poliedrico artista trasformato nel look, così come recita anche il titolo del long playing. Ora è un Frankenstein ambiguo degli anni settanta che concede parte della sua immagine alla moda imperversante in questo periodo, quella del Glam rock. Occhi bistrati alla David Bowie e platform shoes, cioè zatteroni, alla Elton John. Tornando al singolo, il titolo è WALK ON THE WILD SIDE (che significherebbe, non letteralmente, "scegli la strada della sregolatezza") e sarà una delle canzoni più note dell'estate 1973 sebbene non salga in altissima posizione nella classifica dei singoli italiani. Invece in Inghilterra si piazza per parecchio tempo tra i primi dieci, cosa che farà il long playing. Un testo dove si parla per la prima volta molto esplicitamente di sesso orale, transessualità e omosessualità. Dedicato alla corte bizzarra di re Andy Warhol, in quel di New York, di cui lui era un assiduo frequentatore. Basta pensare che lo stesso Warhol disegnò la copertina con la famosa banana gialla per i Velvet Underground (1967). Ritmo sincopato, sassofono suadente e coretto efficace che fa da contraltare alla sua voce bassa alla Frankenstein. La canzone viene ripresa nello stesso periodo da Patty Pravo che la include nell'album PAZZA IDEA e ne cambia il titolo in I GIARDINI DI KENGSINTON, dedicandola alla figura di Peter Pan. Mentre nella versione originale la canzone assume altre connotazioni: 'shaved her leg and then he was she'. Anche per questo motivo, la versione originale sarà ricercatissima nelle discoteche (intese come negozi di dischi) di tutta Italia: per sentire ed apprezzare la versione originale di una canzone di successo. Sul retro un'altra grande canzone, VICIOUS, nella quale, con una sublimazione sadomaso al posto della frusta, per battere l'amante, viene usato un fiore. Forse non è mai stato sottolineato che questa canzone è molto simile ad un' altra, un caposaldo del beat: WILD THING dei bravissimi Troggs (canzone datata 1966) e alla quale probabilmente Lou Reed si è ispirato. Quindi, dopo aver stabilito che questa canzone rimane quella per la quale Lou Reed viene identificato presso il grande pubblico, resta da dire che il 33 riserva altre sorprese come ad esempio un altro e più esplicito brano dedicato all'amico di bagordi Warhol (ANDY'S CHEST) o SATELLITE OF LOVE, una delle più belle ballate glam del periodo, con alle chitarre Bowie e Ronson, e PERFECT DAY, dove si parla di un amore finito in maniera dolorosa e di un modo di intendere la propria vita al di fuori dai soliti schemi ('You made me forget myself, I thought I was someone else, someone good'). Poi rifatta dagli U2 e, ancora dopo, utilizzata nel famoso film TRAINSPOTTING. Termina il disco una rilassata GOODNIGHT LADIES. Si sente comunque (e come!) la mano di Bowie. TRANSFORMER è praticamente un disco del Duca Bianco inteso quasi come un debito di gratitudine verso un ex idolo in quel momento un po' in declino. Un disco che è letteralmente manipolato da Bowie e che comunque rimette in sella il suo ex amante e musa ispiratrice di un tempo non troppo lontano. Un disco che non dovrebbe mancare nella discoteca ideale e che non manca di interessare anche chi non ama eccessivamente quel tipo di musica. Proprio come chi scrive. (Christian Calabrese)