MARK KNOPFLER  "Kill to get crimson"
   (2007 )

Mark Knopfler sceglie la pittura come introduzione a quest’album datato 2007. In copertina e sul retro, dipinti di John Bratby (“Four Lambrettas” e “Three portraits of Janet Churchman”). L’opera di Bratby, leggo su Wikipedia, influenzata dal realismo di Sickert, si caratterizza per i dettagli crudi e il tratto vigoroso con i quali vengono raffigurati oggetti convenzionali dell’ambiente che circondava l'artista, come cestini della spazzatura e lavandini. Quale miglior biglietto da visita per un album il cui titolo fa: “Uccidi per diventare cremisi”? Tranquilli, non sono io che sbarello, né è il buon Mark che dà di matto: per chi non lo sapesse infatti il cremisi è una sfumatura di rosso molto acceso. “I’d kill to get crimson / on this palette knife”: ucciderei per avere un rosso acceso / su questa spatola da pittore”. Il titolo dell’album ritorna in questa bellissima canzone dal titolo: “Let it all go”, uno dei dodici ritratti, potrei dire, presenti nel disco. Ritratti di sopravvivenza, per andare sul difficile (vi voglio svegli, reattivi, non mi piacciono i lettori che dormono...): sì, perché è l’amore stesso a sopravvivere in “True love will never fade”, sotto forma di tatuaggio che l’artista fa all’amata. Sopravvive la moglie del boia (“The scaffolder’s wife”) che scende in paese per arrotondare avete capito come; e a modo suo è un sopravvissuto il ragazzo di “The fizzy and the still”, che ha rinunciato a Hollywood e adesso torna a casa (“It’s not for me / Sunday papers here we are / the boy’s come home”, “Non fa per me / Giornali della domenica, eccoci qui / il ragazzo è tornato”). Il pittore di cui scrivevo è un sopravvissuto (“All passion and lust / is going to end in the dust / but you’ll hang on some government gallery wall”, “Passione e bramosia / diventeranno polvere / ma resterai appeso al muro di una qualche mostra di stato”), l’amico e confidente sognatore è rimasto con un “Heart full of holes”, un cuore pieno di buchi. E poi c’è sempre qualcuno che rimane indietro con l’affitto (“Behind with the rent”) e che per tirare su qualche soldo s’improvvisa buttafuori, qualcuno che compone ballate e assicura non esserci niente di meglio del gin per annegarci dentro i demoni della malinconia (“Madame Geneva’s”), qualcuno che uccide perché è rimasto senza lavoro (“Punish the monkey”). Sopravvivenza, quindi. Come d’altronde è lo stesso Mark Knopfler a sopravvivere a sé stesso, alla propria fama. In questo disco, “Kill to get crimson”, l’ex front-man dei Dire Straits volge lo sguardo alle proprie radici europee. E lo fa aggiungendo i flauti (“The scaffolder’s wife”, uno dei pezzi più riusciti), le fisarmoniche (“Secondary Waltz”) a una chitarra in stato di grazia (“We can get wild”) e ad una voce sempre più intensa (“Let it all go” è una grande prova di canto). L’atmosfera che si respira è un po’ quella del paese al far della sera, quando la giornata ormai volge al termine e la notte sembra volerti abbracciare anche se hai l’anima in pena. “Punish the monkey”, pur se suona afro, potrebbe essere un classico del repertorio Dire Straits, con tastiere e controcanti a sostenere gli assoli della chitarra di Knopfler. Lo stesso discorso vale per “We can get wild” e i primi secondi introduttivi di “A heart full of holes”, in cui riecheggia la mitica “Romeo and Juliet” (ascoltare per credere). Chiudono la quinta fatica solista dell’artista scozzese, i sette minuti e passa di “In the sky”, d’impostazione vagamente jazz, con una lunga coda strumentale nei quali si vola a respirare il cielo sulle note di un saxofono. E se a questo mondo sopravvive soltanto chi ucciderebbe per un rosso acceso, allora date diritto a Mark Knopfler di sopravvivere comprando questo suo meraviglioso quinto disco da solista. Molto, molto cremisi, ve lo giuro. (Vittorio Tovoli)