ENIGMA  "The screen behind the mirror"
   (1999 )

Per qualcuno il miglior disco della produzione Cretu-ina, per altri l’esempio che, a dir la verità, il teutonico non faceva altro che campionare qualcosa all’infinito, coprendo l’altrimenti palese carenza di idee. Qui, infatti, il punto di partenza sono i Carmina Burana, che condiscono buona parte del disco: troppo, per alcuni. Benissimo per altri. La verità, forse, sta nel mezzo: così è, se vi pare. Questo, però, è probabilmente l’opera Enigma con maggior bilanciamento tra momenti eterei e momenti fisici, danzerecci e meditativi, che – questo sì- a volte rischia di cadere nel banale movimento new age, ma che in realtà mantiene, eccome, la sua identità. Scopertosi amato dalle discoteche, Michelino nostro crea roba che sembra pane per i dj dell’epoca, ai quali non sembra vero poter mettere le mani su “Push the limits” o “Gravity of love” e renderle dei must per le disco ibizenche. Ma, pur senza andar sul cubo, anche le versioni originali, da album, si ascoltano alla grande, lasciando nell’auditorium il dubbio se preferire il sacro o il profano, come peraltro ben si vede nei video, a metà tra lo spirituale e il boccaccesco. Cretu canta, di qua e di là, usa il battiatesco trucco del cantato al contrario (“Endless quest”), approfitta dei sussurri della coniuge e scopre in Ruth-Ann (la voce degli Olive, quelli di “You’re not alone, 1997) un altro cinguettio adattissimo al suo tessuto musicale. E “Silence must be heard”, alla fine del disco, è forse una delle cose migliori mai uscite dalla penna, dai sintetizzatori, dai riccioloni di Michael Cretu. La continuità con i vecchi dischi c’è sempre – il suono del flauto che apriva l’album d’esordio, ad esempio – ma nessuno può lamentare eventuali ripetitività o banalità. Chiaro, se non ci fossero stati i Carmina Burana, campionati e grattugiati un po’ ovunque, l’atmosfera sarebbe stata diversa. Però un conto è campionare, un conto è farlo bene. Qui, a parer dello scrivente, ci stanno benissimo. Insomma: l’autore della recensione, questo disco, se lo porterebbe nella tomba. (Enrico Faggiano)