NICK CAVE & THE BAD SEEDS  "Murder ballads"
   (1996 )

Nel 1996, con “Murder ballads”, l’australiano Nick Cave continua il suo momento di grazia, pubblicando un album fatto di suggestione, sentimento, dolcezza, ma anche di tanto sangue. Solo un ottimo lavoro poteva essere il successore di quel “Let love in” che, pubblicato due anni prima, può essere considerato la vetta più alta di questo infelice e rabbioso orco del rock. Uscito per la Mute records, “Murder ballads” ricalca il tipico Cave sound (almeno degli ultimi due lavori in studio) e lo si può considerare come una sorta di concept album. Qui, invero, non si narra la storia di un personaggio (elemento comune ai concept degli anni '70), ma il leit motiv, o il minimo comun denominatore, è rappresentato da storie macabre e di omicidi sanguinari, interpretati da una voce profonda ed inquietante. La copertina, in realtà, ci porta alla mente una serie di immagini che hanno ben poco a vedere con i truculenti argomenti trattati: una casetta in un bosco, il fumo del camino, gli alberi innevati. Insomma, manca solo Babbo Natale. Nell’apertura di “Song of Joy” i Bad Seeds sono abili a creare immediatamente il clima per un’atmosfera macabra, ma è con “Stagger Lee” che i musicisti si superano. Alla seconda traccia cresce il groove; il basso insistente di Casey ha il merito di far crescere l’attenzione, mentre Cave ci racconta gli omicidi del sadico Stagger Lee. La tensione aumenta ed aumentano anche le chitarre e gli urli di Blixa Bargeld: è già il regalo più bello dell’album e siamo solo alla seconda canzone. Con “Henry Lee” abbiamo il piacevole ingresso della voce di P.J.Harvey che duetta con l’australiano. C’è sentimento e dolcezza (e poco importa se anche questa è un’altra canzone che narra la storia di un altro morto ammazzato), il tutto condito da un video molto sensuale. Dopo “Lovely creature”, in cui si canta la scomparsa di una deliziosa creatura, arriva il momento di un altro hit: “Where the wild roses grow”. L’ospite femminile cambia; a P.J.Harvey si sostituisce Kylie Minogue per interpretare un’altra dolce canzone di morte. Lenta, ma meno scarna della precedente “Henry Lee” (in alcuni tratti quasi orchestrale), questa canzone è il singolo che ha fatto conoscere Cave alla massa (complice un bel video trasmesso da MTV). Con “The curse of millhaven” Nick Cave e i cattivi semi costruiscono una canzone in stile con la tradizione popolare: ritmo, chitarre e cori e un perfetto ingresso dell’organo sono la cornice musicale che racconta la maledizione di una cittadina, in cui (neanche a dirlo) si susseguono terrificanti omicidi e misteriose sparizioni. “Trovarono Mary Bellows ammanettata al letto, con uno straccio in bocca e una pallottola in testa... povera Mary Bellows”. Anche questa è la magia della musica: Cave e soci realizzano la canzone più dolce del 1996 su un testo raccapricciante e vietato ai minori. “Crow Jane” è una delle più celebri canzoni di “Murder ballads”; il sound che sentiamo ci fa immaginare, più che una rock band, un’orchestra degli anni ’30, all’interno di una sporca bettola. Il piano anticipa l’oceanica “O’Malley’s bar” in cui le sonorità ritornano più tipiche ed il cantato di Cave è più ispirato, mentre dalla sua bocca escono i racconti delle tragiche e violenti morti del bar di O’Malley. Così lunga e sempre uguale a se stessa, la canzone può essere considerata come la discendente di “The carny”, contenuta in “Your funeral, my trial” (1986). Con l’ultimo pezzo Nick Cave si affida alle parole di Bob Dylan per concedersi uno spiraglio di ottimismo. La cover di “Death is not the end” è dolce e coinvolgente e ha una serie di guest alla voce: da P.J.Harvey a Blixa Bargeld, al 'Pogues' Shane Mc Gowan. Si conclude, dunque, con una partecipazione corale questo nono album in studio di Nick Cave con i “suoi” fidati cattivi semi. Un album che è anche un noir, ma che sa essere anche un fumettone oscuro o, ancora, un film vietato ai minori il cui regista si potrebbe chiamare Quentin Tarantino. Comunque sia e, comunque lo vogliamo leggere, “Murder Ballads” è un album straordinario. (Gianmario Mattacheo)